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Il report 2021-2022 di Amnesty sui diritti umani

 

Anche quest’anno, mantenendo una tradizione che va avanti dagli anni Ottanta, Amnesty International Italia pubblica, grazie alla sensibilità di un editore molto attento alla saggistica sui diritti umani, il Rapporto sulla situazione dei diritti umani nel mondo.

L’edizione di quest’anno, arricchita da un’introduzione della segretaria generale di Amnesty International Agnès Callamard, contiene cinque panoramiche regionali e schede di approfondimento su 154 paesi. Oltre al volume, una serie di infografiche presenta le principali tendenze globali.

Un ringraziamento particolare Amnesty riserva, oltre che all’editore Infinito Edizioni, a Beatrice Gnassi, curatrice del volume, e alle traduttrici Anna Ongaro e Patrizia Carrera.

Pubblichiamo qui di seguito l’introduzione al report che è disponibile per l’acquisto sul sito di Infinito Edizioni.

Il 2021 è stato un anno di speranza e promesse: da un lato la speranza di ognuno che i vaccini avrebbero fermato la devastazione causata dalla pandemia da Covid-19 e dall’altro le promesse dei governi e dei gruppi intergovernativi come il G7 e il G20 di voler “ricostruire un mondo migliore”. Tuttavia, spesso lo hanno fatto soltanto a parole, con alcuni governi che hanno perfino sfruttato la pandemia come un’occasione per consolidare il loro potere.

La presente analisi intende esplorare le tre questioni dominanti che emergono dalla ricerca condotta da Amnesty International nel 2021 su 154 paesi del mondo: salute e disuguaglianze, spazio civico e il respingimento di rifugiati e migranti dal nord del mondo.

 Salute e Disuguaglianze

I vaccini hanno offerto la speranza di vedere più vicina la fine della pandemia, che secondo l’Oms al termine del 2021 aveva causato almeno 5,5 milioni di morti, anche se alcune stime suggeriscono che il numero reale dei decessi potrebbe essere dalle due alle tre volte superiore. Molti governi hanno annunciato il loro impegno a sostenere una copertura vaccinale globale e il G7 e il G20 si sono presi impegni rilevanti per questo obiettivo. Tuttavia, nonostante gli sforzi di alcuni governi del sud del mondo in particolare, la cooperazione internazionale è in larga parte fallita. I paesi ad alto reddito hanno accantonato nei loro magazzini milioni di dosi in più di quante ne avrebbero potuto utilizzare, un surplus che avrebbe permesso ad alcuni paesi di vaccinare in media dalle tre alle cinque volte la loro intera popolazione. A settembre, è stato calcolato che alcuni di questi stati disponevano ancora di un surplus di oltre 500 milioni di dosi di vaccino. Mentre l’Ue aveva un tasso di vaccinazione di oltre il 70 per cento, molti paesi del sud del mondo erano ancora in attesa di accedere alla prima dose. A fine anno, era stato vaccinato con doppia dose meno dell’otto per cento degli 1,2 miliardi di abitanti dell’Africa, il tasso di vaccinazione più basso di qualsiasi altro continente del mondo e ben lontano dall’obiettivo indicato dall’Oms di vaccinare il 40 per cento della popolazione globale entro la fine del 2021. Questa disuguaglianza vaccinale a livello globale ha rafforzato l’ingiustizia razziale.

I paesi ricchi come gli stati membri dell’Ue, Norvegia, Svizzera e Regno Unito hanno inoltre sistematicamente bloccato i tentativi di aumentare la produzione globale di vaccini, che avrebbe accresciuto l’accesso da parte dei paesi a basso e medio reddito, rifiutando di sostenere la temporanea sospensione dei diritti di proprietà intellettuale. Allo stesso tempo, le aziende farmaceutiche, appoggiate da governi potenti, hanno dato massima priorità alla fornitura di vaccini ai paesi ad alto reddito. Le principali compagnie al timone della produzione di vaccini contro il Covid-19 hanno monopolizzato la proprietà intellettuale e bloccato i trasferimenti di tecnologia, esercitando forti pressioni contro le misure che avrebbero ampliato la produzione globale di questi vaccini. Tutto ciò nonostante la maggior parte di queste compagnie avesse beneficiato di miliardi di dollari di fondi pubblici e tratto nel frattempo esorbitanti profitti dalla pandemia. Tre di queste, precisamente BioNTech, Pfizer e Moderna, prevedevano guadagni per 130 miliardi di dollari Usa entro la fine del 2022.

I programmi nazionali di vaccinazione presentavano situazioni alquanto variegate. Alcuni servizi sanitari nazionali sono riusciti a realizzare con successo programmi di vaccinazione grazie ad approcci scientifici, campagne d’informazione e operatori medici dedicati. Tuttavia, altri piani vaccinali governativi sono stati caratterizzati da mancanza di trasparenza e consultazione, e condizionati dalla corruzione. Altri non hanno dato priorità o hanno attivamente escluso i molti che si trovavano in situazioni di particolare vulnerabilità, come ad esempio migranti e rifugiati, sfollati interni, comunità rurali e native, detenuti, senzatetto e altre persone prive di documenti, così come altri gruppi storicamente discriminati. In Russia, la vaccinazione dei senzatetto e dei migranti senza documenti è stata complicata dall’obbligo di esibire un documento d’identità e un’assicurazione medica, spesso del tutto inaccessibili per questi gruppi. In Nicaragua, alcune notizie di stampa hanno fatto emergere situazioni di favoritismo, in cui i primi a ricevere il vaccino erano i sostenitori del governo, indipendentemente dal loro profilo di rischio di contrarre il Covid-19. Molti paesi, come nella regione delle Americhe, non hanno inoltre saputo creare protocolli speciali per assicurare interventi culturalmente appropriati nella vaccinazione delle popolazioni native.

Infine, una comunicazione senza scrupoli e una manipolazione dell’informazione da parte di chi cercava di generare confusione per proprio tornaconto, compresi politici e perfino leader, sommate al contributo di piattaforme social irresponsabili, hanno alimentato la disinformazione e accentuato l’esitanza vaccinale. Anche conflitti e crisi hanno influito sui programmi di vaccinazione e sul diritto alla salute in generale, come è accaduto per esempio in Etiopia e Yemen, a causa di attacchi contro infrastrutture civili e restrizioni all’accesso degli aiuti umanitari. Allo stesso modo i tumulti politici in Afghanistan e Myanmar hanno portato i già fragili sistemi sanitari di questi paesi sull’orlo del collasso.

Forse mai come ora i diritti umani alla salute o quelli che dipendono dalla salute sono stati più rilevanti o a rischio. C’era l’opportunità di utilizzare gli enormi investimenti globali e avanzamenti nella ricerca medica per migliorare il livello dei servizi erogati dai sistemi sanitari, ma in tutto il mondo i governi hanno dato prova della mancanza di leadership. Non hanno saputo invertire la rotta rispetto al diffuso stato di trascuratezza e sottofinanziamento di questi servizi nell’arco dei decenni o affrontare il limitato e iniquo accesso all’assistenza medica. Questi i due principali motivi della portata della crisi che ha investito i sistemi sanitari che si sono trovati ad affrontare la doppia sfida di rispondere alla pandemia da Covid-19 e di erogare i servizi sanitari ordinari. Un fallimento che si è fatto sentire in particolare tra le minoranze razzializzate, i lavoratori migranti e le persone anziane, così come ha condizionato l’accesso delle donne ai servizi di salute sessuale e riproduttiva. Alcune autorità hanno aggravato la situazione adottando approcci che ad esempio negavano l’esistenza di casi di Covid-19 nel loro paese, sminuivano i rischi o vietavano i vaccini provenienti da determinanti paesi per ragioni politiche. In alcuni paesi africani, tra cui Congo, Nigeria e Togo, gli operatori sanitari hanno dovuto scioperare o protestare per chiedere interventi che cercassero di risolvere i malfunzionamenti dei sistemi sanitari o il pagamento dei mesi di stipendio arretrati. In altre parti, anche in Europa, alcuni governi non hanno esitato ad attuare forme di rappresaglia contro quegli operatori medici che avevano parlato apertamente della situazione di difficoltà in cui versavano i servizi sanitari.

Intanto, la pandemia e le risposte con cui è stata affrontata hanno continuato ad avere in molti paesi un impatto devastante su altri diritti economici e sociali, finendo con intrappolare centinaia di milioni di persone in una situazione di povertà estrema. La crescita del debito derivante dalla pandemia ha avuto un impatto negativo sulle possibilità di stanziare gli investimenti necessari  all’erogazione dei servizi sociali essenziali e la tanto promessa ripresa dalla pandemia è stata compromessa dalla limitata riduzione del debito. L’esigua riduzione del debito pari a 45 miliardi di dollari Usa, concordata dal G20 ad aprile 2020, che è stata rinnovata per due volte fino alla fine del 2021, si è tradotta in una riduzione reale di appena 10,3 miliardi di dollari Usa per oltre 40 paesi aventi diritto. Questa carenza è stata ulteriormente aggravata dal fatto che tale iniziativa ha prodotto soltanto una sospensione del ripagamento del debito e che i 46 paesi cui era applicata avevano ancora pagamenti del debito residui per complessivi 36,4 miliardi di dollari Usa. Continuava inoltre a non essere affrontata la questione del ripagamento del debito verso i creditori privati, di cui era stata sospesa appena una percentuale pari allo 0,2 per cento.

Allo stesso tempo, il 2021 è stato anche contrassegnato da alcune opportunità che i governi potrebbero cogliere al fine di gettare le basi necessarie per la realizzazione di una concreta responsabilità sociale delle imprese e di risposte efficaci a pandemie future, sempre se sapranno porre i diritti umani al centro di questi sforzi. L’Assemblea mondiale della sanità ha concordato a dicembre di avviare un processo globale per elaborare e negoziare uno strumento internazionale, in grado di rafforzare la prevenzione, preparazione e risposta alla pandemia, sebbene a fine anno mancasse ancora un riferimento specifico al tema dei diritti umani. Qualsiasi trattato che scaturirà da tale iniziativa avrà soltanto un impatto limitato, a meno di non essere accompagnato da una riforma completa delle norme globali in materia sanitaria e da un cambiamento trasformazionale nel lavoro dei governi all’interno di queste istituzioni. In aggiunta, dopo decenni di fallimentari tentativi di raggiungere un consenso, i governi del G20 hanno stretto un accordo per realizzare alcune riforme del sistema di tassazione globale. Queste, benché ancora imperfette e non sufficienti, rappresentano comunque un passo avanti nella giusta direzione per tentare di risolvere una delle più spinose e dannose questioni di rilevanza globale, ovvero l’evasione e l’aggressiva elusione fiscale delle società multinazionali.

Spazio Civico

Invece che fornire uno spazio per la discussione e il dibattito su come affrontare al meglio le sfide del 2021, la continua tendenza dei governi è stata di reprimere le voci indipendenti e critiche, con alcuni che hanno perfino utilizzato la pandemia come pretesto per ridurre ulteriormente lo spazio civico. Durante l’anno, molti governi hanno intensificato i loro sforzi tentando di imporre e/o implementare misure repressive per prendere di mira coloro che li criticavano, molte di queste misure erano apparentemente volte a frenare la diffusione della disinformazione sul Covid-19. In Cina, Iran e in altre parti, le autorità hanno arrestato e perseguito persone che avevano criticato o contestato i piani di risposta al Covid-19. A livello mondiale, i governi hanno indebitamente impedito e disperso proteste pacifiche, in alcuni casi utilizzando il pretesto delle disposizioni per il contenimento della diffusione del Covid-19. Diversi governi, specialmente in Africa, Medio Oriente e Africa del Nord e Asia, hanno bloccato o pesantemente limitato l’accesso a Internet e ai social network; in paesi come Eswatini e Sud Sudan, l’accesso a Internet è stato in alcuni casi interrotto nel tentativo di far deragliare le proteste programmate. Gli attacchi contro giornalisti, voci critiche e difensori dei diritti umani, compresi quelli che difendevano i diritti delle donne e delle persone Lgbti, sono stati parte integrante di questa ondata di violenta reazione contro la libera espressione.

Una tendenza regressiva adottata nelle politiche dei governi è stata l’elaborazione e l’introduzione di nuove normative che hanno limitato i diritti alla libertà d’espressione, associazione e riunione pacifica. Sulla base del monitoraggio svolto da Amnesty International, è stato possibile accertare durante l’anno l’introduzione di norme di questo tipo in almeno 67 dei 154 paesi coperti dal presente rapporto, tra cui Cambogia, Egitto, Pakistan, Turchia e Usa. Allo stesso tempo, le restrizioni introdotte nel 2020, con la dichiarata intenzione di contrastare la diffusione del Covid-19, sono state mantenute anche quando la situazione della sanità pubblica era cambiata.

I difensori dei diritti umani e le persone critiche verso i governi hanno continuato a fare sentire coraggiosamente la loro voce, nonostante gli attacchi lanciati da governi e potenti interessi economici attraverso una sempre più ampia gamma di strumenti. Questi comprendevano detenzioni arbitrarie e procedimenti penali ingiusti, azioni legali intimidatorie e prive di fondamento, restrizioni amministrative e altre minacce, fino ad arrivare anche alla violenza, incluse sparizioni forzate e tortura. Sono anche aumentate le cause legali strategiche contro la partecipazione pubblica (strategic lawsuits against public participation – slapps), intentate contro i difensori dei diritti umani allo scopo di intimidirli e vessarli, come è accaduto in Kosovo agli attivisti che avevano sollevato il problema dell’impatto ambientale derivante dai progetti idroelettrici della compagnia austriaca Kelkos Energy. Anche il governo dell’Andorra ha intentato una causa legale per diffamazione penale contro un’attivista che aveva denunciato la situazione dei diritti delle donne davanti a un forum di esperti delle Nazioni Unite. In almeno 84 dei 154 paesi monitorati da Amnesty International sono stati documentati casi di difensori dei diritti umani arbitrariamente detenuti, e tra questi 17 dei 19 paesi della regione del Medio Oriente e Africa del Nord. Le Americhe sono rimaste una delle regioni più pericolose al mondo per chi difende i diritti umani, con decine di difensori dei diritti umani uccisi in almeno otto paesi. Gli eventi in Afghanistan e Myanmar hanno visto i difensori dei diritti umani affrontare inediti livelli di violenza e intimidazione, mentre le conquiste in materia di diritti umani venivano vanificate. In alcuni paesi, i governi hanno preso la drammatica decisione di chiudere Ong o mezzi d’in formazione, come in Russia e nella regione di Hong Kong in Cina, azioni che in precedenza sarebbero state ritenute impensabili. In Afghanistan, dopo la presa del potere dei talebani sono stati chiusi in tutto il paese più di 200 organi di stampa. In un attacco particolarmente sfrontato, la Bielorussia ha utilizzato la falsa minaccia della presenza di una bomba a bordo di un aereo civile su cui viaggiava un giornalista in esilio, per dirottare il volo così da poterlo arrestare. Gruppi marginalizzati che osavano reclamare un loro spazio nella vita pubblica e portare avanti le loro battaglie in difesa dei diritti umani si sono scontrati con una particolare serie di rischi e sfide, che andavano da forme di discriminazione ed esclusione, ad attacchi di stampo razzista e sessista, sia online che offline. I governi hanno fatto ricorso in maniera crescente anche a strumenti tecnologici, compresi spyware, per colpire giornalisti, difensori dei diritti umani, oppositori politici e altre voci critiche. Laddove le restrizioni dovute alla pandemia si sono sommate a preesistenti situazioni di repressione, le Ong in molti paesi, dall’India allo Zimbabwe, hanno dovuto affrontare nuove difficoltà per poter svolgere le loro attività o ricevere sovvenzioni dall’estero.

Attacchi allo spazio civico, alle comunità minoritarie e al dissenso sono arrivati anche da attori non statali, in alcuni casi armati, e talvolta anche in complicità con gli stati. Ciò è risultato particolarmente evidente in India, dove i dalit, gli adivasi e i musulmani hanno continuato ad affrontare abusi e crimini d’odio. In Brasile, gli omicidi di ambientalisti da parte di attori non statali sono continuati in maniera inesorabile. In Europa, in un contesto caratterizzato da crescenti livelli di razzismo, islamofobia e antisemitismo, le comunità minoritarie come le persone musulmane, ebree e altre, hanno subìto crescenti episodi di crimini d’odio, come è  accaduto in Austria, Francia, Germania, Italia e Regno Unito.

Di fronte alle proteste, il 2021 ha visto la crescente tendenza securitaria dei governi nei confronti dello spazio civico, con l’adozione di misure eccezionali, la criminalizzazione dei raduni pacifici, la militarizzazione delle operazioni di ordine pubblico, il ricorso a poteri derivanti da motivi di sicurezza nazionale per fronteggiare i movimenti di protesta e l’introduzione di nuove disposizioni volte a reprimere le manifestazioni. I metodi con cui le forze di sicurezza hanno reagito alle proteste sono stati in alcuni casi anche pesanti: Amnesty International ha documentato l’uso non necessario e/o eccessivo della forza contro i manifestanti in almeno 85 dei 154 paesi monitorati, trasversalmente in tutte le regioni. Le forze di sicurezza hanno regolarmente impiegato in maniera impropria armi da fuoco e armi considerate “meno letali”, come gas lacrimogeni e proiettili di gomma, uccidendo illegalmente centinaia di persone e ferendone molte altre. In alcuni paesi c’è stata una continua tendenza verso la militarizzazione delle risposte con cui lo stato reagiva alle proteste, incluso lo schieramento delle forze armate e l’impiego di equipaggiamento militare. Magistrature compromesse non sono intervenute per impedire gli attacchi contro i manifestanti, difensori dei diritti umani e altre persone critiche, quando non li hanno addirittura facilitati.

L’azione repressiva dei governi è spesso continuata con arresti e procedimenti penali e un crescente utilizzo di strumenti tecnologici, come il riconoscimento facciale e altre forme di sorveglianza, per identificare i leader delle proteste e i partecipanti.

Respingimenti dal Nord del mondo- rifugiati e migranti

Il 2021 è stato segnato da un susseguirsi di sfollamenti di massa causati da crisi emergenti e radicate. Gli eventi in luoghi come Afghanistan, Etiopia e Myanmar hanno determinato nuove
ondate di sfollati. Migliaia di persone hanno continuato a lasciare il Venezuela e, solo nella Repubblica Democratica del Congo, nel 2021 il perdurante conflitto ha spinto 1,5 milioni di persone ad abbandonare le loro abitazioni. A livello globale, milioni di persone hanno continuato a fuggire dai loro paesi a causa delle violazioni dei diritti umani legate a situazioni di conflitto e violenza, disuguaglianza, cambiamento climatico e degrado ambientale, e le minoranze etniche sono state tra le più colpite. Secondo l’Unhcr, l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati, a metà del 2021 in tutto il mondo c’erano 26,6 milioni di rifugiati e 4,4 milioni di richiedenti asilo. La maggior parte viveva da anni ospitata in campi profughi, come ad esempio in Bangladesh, Giordania, Kenya, Turchia e Uganda, dove molti rimanevano nella costante paura di essere rimandati nei paesi dai quali erano fuggiti in cerca di sicurezza.

A livello locale, è generalmente cresciuta la solidarietà per le persone in movimento, come si è visto in un sempre più esteso numero di paesi, attualmente 15, che hanno promosso progetti pilota di sponsorizzazione comunitaria per l’accoglienza e l’integrazione dei rifugiati. Ma tale solidarietà si è tuttavia dimostrata troppo spesso tristemente carente a livello nazionale e internazionale. Una certa narrazione xenofobica sulla migrazione ha ancora permeato l’opinione pubblica, specialmente nel nord del mondo, mentre le politiche interne degli stati si inasprivano ulteriormente. Ben 12 paesi dell’Ue si sono rivolti alla Commissione europea chiedendo di annacquare le regole comunitarie in materia di protezione dei rifugiati. La comunità internazionale non ha provveduto a fornire un sostegno adeguato e, quel che è peggio, ha limitato l’accesso ai porti sicuri.

Troppo spesso, queste persone in movimento sono state anche vittime di una interminabile serie di abusi e l’impunità ha prevalso per situazioni ricorrenti di violazioni diffuse come respingimenti, tortura e violenza sessuale. Molti governi si sono sottratti alle loro responsabilità di fornire protezione a rifugiati e migranti e hanno anche commesso violazioni dei diritti nel tentativo di tenerli lontani dal loro territorio e di dirottare altrove gli arrivi spontanei. La tattica dei respingimenti è diventata sempre più normalizzata, anche nei nuovi punti caldi, come al confine tra Ue e Bielorussia. Le autorità statunitensi di controllo delle frontiere hanno effettuato respingimenti di massa di oltre un milione di rifugiati e migranti al confine tra Usa e Messico, usando come pretesto l’applicazione delle disposizioni in materia di salute pubblica contro ilCovid-19. Analogamente, i governi hanno cercato sempre di più di esternalizzare le procedure nazionali di richiesta d’asilo (perfino di fronte ai flussi di rifugiati che sostenevano di voler aiutare, come quelli in fuga dall’Afghanistan). I governi hanno inoltre continuato a servirsi di sofisticate tecnologie di  sorveglianza e raccolta dei dati come strategia di sicurezza delle frontiere, in grado di rendere la violenza un fatto strutturale. Questo tipo di tecnologia applicata alle frontiere è stata spesso sproporzionalmente utilizzata nei paesi con una maggioranza caucasica, in maniera sistematicamente discriminatoria contro le persone di colore.

Coloro che riuscivano a valicare le frontiere hanno vissuto in situazioni spesso terribili. Molte autorità hanno continuato ad arrestare illegalmente e a detenere a tempo indefinito rifugiati e migranti, spesso senza valide basi legali o senza permettere loro di contestare la legalità della detenzione. Alcuni governi hanno anche effettuato espulsioni illegali: Amnesty International ha documentato accuse attendibili relative a rifugiati e migranti rimpatriati illegalmente nei loro paesi d’origine o rimandati indietro alle frontiere in almeno 48 dei 154 paesi monitorati nel 2021. In Libia, migliaia di persone sono state sottoposte a sparizione forzata dopo essere state fatte sbarcare dalle unità della guardia costiera libica, supportata dall’Ue, mentre altre centinaia sono state espulse con la forza al di fuori delle procedure dovute e abbandonate lungo i confini di terra. La Malesia ha espulso oltre un migliaio di persone, rimandandole in Myanmar nonostante il rischio reale di persecuzione e altre gravi violazioni dei diritti umani una volta ritornate nel paese.

Molti governi hanno discriminato illegalmente le persone in movimento, compresi rifugiati e richiedenti asilo. In Perù, circa un milione di migranti, inclusi mezzo milione di richiedenti asilo regolarizzati, non ha potuto accedere a diritti basilari come l’assistenza medica. In ogni caso, i riflettori puntati su progetti di alto profilo, come i preparativi per la Coppa del mondo di calcio 2022 del Qatar, hanno continuato a catalizzare l’attenzione dell’opinione pubblica per fermare i diffusi abusi sul lavoro perpetrati contro i lavoratori migranti. Questo ha contribuito a realizzare nuove riforme in alcuni paesi, benché permanessero ancora rilevanti motivi di preoccupazione. Sono stati anche lanciati sempre più spesso appelli per una graduale eliminazione della detenzione dei migranti, in particolare dei migranti minorenni.

Al fine di realizzare le loro promesse, governi e istituzioni dovrebbero costruire la loro ripresa dalla pandemia e la loro risposta alla crisi all’interno del quadro dei diritti umani e facilitare un  dialogo reale con la società civile e i loro partner nella ricerca di soluzioni possibili.

Tutti i governi dovrebbero approntare misure, anche sul piano legislativo, per impedire alle aziende che sviluppano i vaccini di ostacolare l’accesso ai vaccini contro il Covid-19. I paesi più ricchi, in particolare, dovrebbero redistribuire il surplus di scorte di vaccino contro il Covid-19 ai paesi a basso reddito e incentivare la riduzione del debito al fine di facilitare la ripresa economica. Le aziende farmaceutiche dovrebbero dare priorità alle forniture di vaccino laddove c’è più bisogno. Le piattaforme social devono intraprendere azioni concrete al fine di rispondere adeguatamente alla divulgazione di informazioni false o fuorvianti.

 I governi dovrebbero smettere di usare la pandemia come una scusa per mettere a tacere l’informazione indipendente e il dibattito pubblico e rimuovere urgentemente tutte le indebite restrizioni ai diritti alla libertà d’espressione, associazione e riunione pacifica. I governi dovrebbero al contempo adottare o espandere le leggi che assicurano la creazione di un ambiente sicuro e costruttivo, che permetta alle persone di unirsi per difendere e promuovere i diritti umani ed abrogare o emendare le disposizioni che ostacolano la legittima attività delle Ong, anche in termini di ricerca, ricezione e utilizzo di fondi. È inoltre essenziale che i governi revochino i regimi normativi che richiedono l’autorizzazione preventiva per tenere raduni pacifici e assicurare che le misure d’emergenza e altri provvedimenti restrittivi, adottati durante la pandemia, non diventino la “nuova normalità”. Dovrebbero anche imporre controlli più stringenti sull’esportazione e importazione di equipaggiamenti che potrebbero avere una legittima funzione di controllo dell’ordine pubblico, ma che sono puntualmente usati in maniera impropria, come manganelli, gas lacrimogeni, spray al peperoncino e proiettili di gomma.

I governi devono adempiere ai loro obblighi di tutelare le persone che cercano protezione internazionale, rispettare e salvaguardare i loro diritti e permettere loro di rimanere nel proprio territorio, in condizioni accettabili, fino a quando non sia stata trovata una soluzione duratura. 
Dovrebbero anche sospendere i respingimenti e l’esternalizzazione nella gestione della migrazione e sostenere la sponsorizzazione comunitaria. I governi devono porre fine agli abusi, compresa la discriminazione contro i migranti, smettere di detenere i migranti minorenni e approfondire le riforme per impedire gli abusi sui lavoratori.