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Le presidenziali francesi, tra conferme e incognite

 

Il 10 aprile gli elettori francesi sono andati alle urne per votare il prossimo presidente della Repubblica. Il voto non ha però concluso le elezioni, perché i due candidati con maggiori preferenze, ovvero il presidente in carica Emmanuel Macron e la leader del partito sovranista Rassemblement National Marine Le Pen, si sfideranno al ballottaggio il 24 aprile. Si verificò lo stesso 5 anni fa, quando al secondo turno Macron superò nettamente Le Pen per diventare l’attuale capo di stato.

Su Cominciamo Bene, trasmissione di RBEabbiamo intervistato Michele Barbero, giornalista a Parigi e vice-caporedattore servizio live di Afp, per interpretare questo voto e provare a fare chiarezza sulla situazione attuale.

Intanto Barbero ha confermato che non si è trattato di un risultato inaspettato, visto che ha seguito in buona parte i sondaggi delle scorse settimane, che in Francia, dice, sono «relativamente affidabili». Rimane più incerto lo sguardo verso il ballottaggio, perché mai come oggi l’eventualità di una vittoria dell’estrema destra sembra possibile. Nei diversi confronti simili in passato, il secondo turno ha sempre visto un afflusso di massa verso il candidato moderato (non solo nel 2017, come fa notare Barbero, ma anche nel 2002, quando Chirac superò nettamente il padre di Le Pen, Jean-Marie). Questa volta però l’impressione è che le cose andranno diversamente: la vittoria di Macron resta l’opzione più probabile, ma si pensa che avrà un margine minore rispetto alla precedente.

La campagna elettorale, spiega ancora Barbero, è stata chiaramente stravolta dagli eventi delle ultime settimane, con Macron che ha preso vantaggio con il suo operato diplomatico attorno alla guerra in Ucraina. Ma il contraccolpo economico del conflitto ha favorito anche Le Pen, che fin da subito aveva incentrato la propria campagna sul tema del potere d’acquisto e della crisi economica. Quando questi argomenti sono finiti al centro del discorso pubblico francese, ha raccolto i frutti della sua politica recente.

A darle una involontaria spinta potrebbe essere stato, secondo Barbero, Eric Zemmour, candidato posto ancora più a destra di Le Pen e che sembrava, in un primo momento, destinato a soppiantarla tra i sovranisti. Invece le sue posizioni estreme e monotematiche, basate quasi unicamente sulla xenofobia, hanno finito per mettere forse in una luce migliore Le Pen, che negli anni ha tentato, nota ancora Barbero, un percorso di “Dédiabolisation”, ovvero uno spostamento (perlomeno apparente) del Rassemblement National verso posizioni più accettabili agli occhi della popolazione.

Al secondo turno avrà un peso particolare l’elettorato di Jean-Luc Mélenchon, esponente della sinistra radicale che ha ottenuto pochi voti in meno di Le Pen. Le posizioni dei due candidati non potrebbero sembrare più lontane, ma la situazione è più complessa di quanto non appaia. Negli ultimi anni l’RN è diventato, dal punto di vista economico, un partito di destra sociale, che mette al centro, dice Barbero, importanti spese per il welfare e di aiuti sociali. E d’altro canto, le posizioni di Macron e Mélenchon non sono affatto vicine. È così scontato che gli elettori del secondo votino ora per il primo, e non si sentano invece più rappresentati da Le Pen? La domanda se l’è senz’altro posta lo stesso Mélenchon, che parlando dopo il primo turno ha sottolineato più volte l’invito ai propri sostenitori di non dare nessun voto alla leader di RN, pur non sbilanciandosi nell’appoggio ufficiale a Macron.

La composizione di voto mostra, nel complesso, l’ennesima conferma dello «sprofondamento dei partiti tradizionali», che hanno raccolto una quantità irrisoria di voti. Per quanto suoni come un cliché, sembra venire a mancare sempre di più anche la lettura politica in termini di opposizione tra destra e sinistra. Sembra invece sempre più chiaro, secondo Barbero, che il principale asse dello scontro politico sia tra “globalisti”, rappresentati al ballottaggio da Macron, e “anti-globalisti”, che vedono invece in Le Pen, ma anche in Zemmour e nello stesso Mélenchon, le proprie voci politiche, seppur con molti distinguo. Non è un caso se Macron, fa notare Barbero, intenda rivolgersi in queste due settimane agli elettori di Marsiglia, che hanno dato molti voti a Mélenchon: il supporto degli elettori di sinistra non è scontato, e dovrà quindi guadagnarselo.

In questo scenario, impossibile evitare una domanda: e se vincesse davvero la sovranista di estrema destra Le Pen? La questione non riguarda solo la Francia, ma tutta l’Europa, visto il forte ruolo di questo paese all’interno del blocco (e forse dell’intero continente). Barbero è cautamente ottimista: la leader di RN è stata a lungo sostenitrice della Frexit (nomignolo assegnato all’eventuale uscita della Francia dall’UE), ma già ora la sta rinnegando e, anche se si trattasse di una strategia per raggiungere elettori moderati, sembra improbabile che intenda davvero mettere il paese su quella strada – anche perché vorrebbe dire lanciare la Francia in rotta di collisione con Bruxelles. Per Barbero, anche l’asse Francia-Germania, pilastro dell’Unione, potrebbe comunque reggere. Ma alcuni equilibri potrebbero invece cambiare molto. Le Pen, ha ancora sottolineato il nostro ospite, si è subito congratulata con la vittoria elettorale di un altro sovranista europeo, Viktor Orban, appena riconfermato alla guida dell’Ungheria e tra i leader più lontani dalla politica di Bruxelles. Un’alleanza tra i due (a cui si potrebbero aggiungere altri capi di stato controversi) potrebbe avere un forte impatto all’interno del blocco.

Ma questi sono soltanto scenari ipotetici. Per ora, occorre aspettare il voto del 24 aprile.