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Ucraina. Le bombe sulla cultura

 

Sono trascorsi ormai più di tre mesi dal 24 febbraio, giorno dell’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina, ma fare un bilancio dei danni del conflitto è ancora molto difficile. Per quanto riguarda le vittime civili e non la stima è di diverse migliaia, mentre per le infrastrutture il bilancio si aggira intorno ai trecento miliardi di dollari di danni. C’è però un ulteriore settore duramente colpito dalla guerra, quello culturale, spesso lasciato in secondo piano, ma che riflette ancora una volta la volontà distruttrice degli invasori.

Secondo le stime fornite domenica 22 maggio dal ministro della cultura ucraino i siti storici e culturali distrutti o danneggiati dalle forze russe ammonterebbero a più di 350 in tutto il Paese. Ovviamente, a causa della diversa intensità che il conflitto ha assunto nelle diverse regioni, anche gli effetti distruttivi non sono distribuiti in maniera omogenea: il patrimonio culturale della regione di Kharkiv avrebbe subito i maggiori danni, con 94 siti colpiti tra cui l’Accademia di Cultura e l’Università.

Già nelle prime settimane del conflitto si erano viste immagini di monumenti protetti dai bombardamenti con sacchi di sabbia, mentre gli oggetti di più piccole dimensioni venivano trasferiti nei bunker o in località protette. Queste fotografie richiamavano subito alla mente quanto accaduto, ad esempio, a Parigi nei primi giorni dello scoppio della Seconda guerra mondiale, quando molte opere del Louvre vennero messe al sicuro in castelli fuori città, o in Italia con i cosiddetti blindamenti.

Una novità interessante, per quanto riguarda ciò che è accaduto in Ucraina, è che a mobilitarsi per la protezione del patrimonio storico, culturale e artistico siano stati anche i comuni cittadini oltre ai dipendenti dei musei, delle amministrazioni e all’esercito, segno dell’importanza identitaria data ai monumenti stessi. Del resto, l’azione compiuta più o meno consapevolmente dalla Russia colpendo siti culturali ucraini, è diretta a una destrutturazione dell’identità del Paese sotto attacco. Minare i simboli ampiamente riconosciuti come propri da una società, significa privarla delle sue radici, mettere quasi in discussione la sua legittimità di società costituita.

Anche l’UNESCO ha espresso la sua preoccupazione, sostenendo che oltre a portare morte e distruzioni, i conflitti armati indeboliscono il tessuto sociale delle popolazioni colpite mettendo a rischio il valore identitario del patrimonio culturale: «Colpire il patrimonio culturale vuole dire intaccare il morale della popolazione».

Nel 1954, a L’Aia fu sottoscritta la Convenzione per la Protezione dei Beni Culturali in Caso di Conflitto Armato, che contiene l’impegno da parte dei Paesi sottoscrittori a preservare l’intero patrimonio culturale attraverso l’applicazione di diverse misure. È però ben evidente come anche questa Convenzione sia stata di fatto ignorata in questo conflitto, così come è stato fatto in diverse altre occasioni negli ultimi decenni.

Foto di Կարինե Մարգարյան – Opera propria