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Ritorno alla Terraingiusta

MEDU, Medici per i Diritti Umani, ha recentemente pubblicato il suo rapporto Ritorno alla Terraingiusta, in cui si prova a fotografare la difficile condizione dei lavoratori agricoli della Piana di Gioia Tauro impegnati nella raccolta degli agrumi. Per comprendere meglio questo rapporto e i suoi risvolti occorre fare un passo indietro.

MEDU è impegnata dal 2014 nel progetto Terragiusta, nato per «esplorare, monitorare quelle zone del nostro Paese dove sono particolarmente gravi i fenomeni di sfruttamento lavorativo», spiega Mariarita Peca, che si occupa di coordinamento, ricerca e progettazione per l’organizzazione umanitaria. La scelta dell’ambito agricolo come principale campo d’azione è stata dettata dai fatti di cronaca: «Era l’indomani dalla rivolta di Rosarno, che per la prima volta portò alla ribalta questa tematica in maniera molto incisiva e forte – spiega Peca – Questa fu solo una delle motivazioni, anche perché intorno ai fenomeni di sfruttamento agricolo sorgono dei veri e propri ghetti, degli insediamenti informali dove le persone vivono in condizioni assolutamente insalubri e dove si assiste a violazioni sistematiche e quotidiane dei diritti umani». In queste situazioni il diritto alla salute è uno dei primi a venire meno: l’intervento di MEDU si colloca quindi su un piano di azione laddove da parte dello Stato e delle istituzioni locali prevale l’inazione, l’immobilità.

È proprio dalla situazione di apparente stallo che Mariarita Peca inizia a raccontare il nuovo rapporto di Medici per i Diritti Umani: «Quello che ci porta a persistere nella Piana di Gioia Tauro è la constatazione di una sorta di immobilismo che è dovuto ad una serie di fattori in parte anche legati alle problematiche di quel territorio, quindi non soltanto alle condizioni di vita precarie delle persone che vivono lì, ma proprio ad una difficoltà ad incidere su questo fenomeno, principalmente a causa di una mancanza di politiche nazionali efficaci, sia per l’estrema debolezza (e direi in molti casi anche assenza) delle istituzioni locali». Il commissariamento di diverse istituzioni del territorio, comprese quelle che operano in ambito sanitario, rallenta la possibilità di agire per cambiare le condizioni di vita dei braccianti agricoli.

Dal punto di vista della composizione delle persone che lavorano nei campi della Piana di Gioia Tauro «la popolazione che ci troviamo ad assistere è sempre dello stesso tipo: si tratta principalmente di giovani uomini, anche se negli anni passati c’era anche qualche donna, con un’età media intorno ai trent’anni, che provengono nella totalità dei casi dai paesi dell’Africa sub sahariana occidentale e che sono nel 94% dei casi titolari di regolari permessi di soggiorno», racconta Peca. Si tratta quindi di persone che avrebbero il diritto di prendere parte a percorsi di accoglienza e di integrazione, maturando gli strumenti per essere inserite nel tessuto sociale italiano, ma questo non accade.

A Gioia Tauro si verificano invece «fenomeni di sfruttamento lavorativo che restano più o meno sistematici, anche laddove ci sia la presenza di un contratto di lavoro, cosa che accade nella Piana, nel 60% dei casi. Anche laddove esista un contratto di lavoro, le irregolarità salariali, contributive, negli orari di lavoro e nel pagamento sono assolutamente nella norma. Ci troviamo di fronte a persone che lavorano 8-10 ore al giorno e la cui retribuzione più alta si aggira intorno ai 30 € a giornata».

La pandemia di Covid-19 ha avuto un impatto notevole anche su questi contesti, caratterizzati già di per sé da una notevole fragilità. Ancora una volta, l’assenza di politiche organiche a livello nazionale e locale ha giocato un ruolo molto importante, come si è visto, ad esempio, nei bassi tassi di vaccinazione dei lavoratori.

Il lavoro di MEDU in ogni caso prosegue attraverso campagne informative, assistenza sanitaria e supporto in una zona d’Italia lasciata ai margini dalla politica e dall’informazione.