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Iran, le donne e il velo

 

Intervista di Paola Cavallari, presidente dell’Osservatorio interreligioso sulle violenze contro le donne (Oivd) a Minoo Mirshahvalad, iraniana, di religione musulmana, ricercatrice e studiosa, socia Oivd.

Vuole dare un giudizio complessivo degli avvenimenti attuali in Iran? 

«Mi sarebbe piaciuto essere in Iran o avere almeno la possibilità di parlare con qualcuno lì presente per poter dare un giudizio equo sulla situazione. Più di una settimana fa internet è stato bloccato dallo Stato e la comunicazione con le persone che sono in contatto diretto con la rivolta è pressoché impossibile. I media dell’opposizione trasmettono una serie di notizie che non so quanto siano attendibili. Ad ogni modo, già lo spegnimento di internet dice tanto sulla gravità della situazione e non mi è difficile immaginare ciò che subiscono le vittime e le famiglie che perdono i propri cari.  

Questa rivolta è come un bambino la cui nascita attendevamo da anni;  ma non nasceva perché il vaso non era ancora traboccato. Purtroppo, ci voleva questa ultima goccia. La morte di Mahsa è stata un sacrificio come quello del tunisino Mohamed Bouazizi che ha scatenato tutta la rabbia che la gente aveva accumulato da anni. Quando non ci sono leader carismatici, come un Khomeini, le rivolte acefale e popolari di solito si avvalgono di un catalizzatore come Mahsa o Mohamed per accendersi».

Qual è il motivo di tanta sensibilità al velo in Iran?

«La donna in Iran è lo strumento della sopravvivenza dello Stato. Quest’ultimo riempie la propria vetrina con un oggetto fortemente identitario, ovvero la donna velata.  Il velo della donna rappresenta la bandiera dell’Islam di cui lo Stato sin dal 1979 ha avuto bisogno per dimostrare ai propri rivali, ovvero l’Arabia Saudita e gli altri paesi del golfo, la propria islamicità. Questo è il motivo della estrema sensibilità del velo in Iran e delle violenze che le donne subiscono. Nel Medioriente, per una serie di motivi geopolitici, funzionano solo gli stati forti che hobbesianamente offrono la sicurezza ai cittadini negando loro tutti i diritti civili. Perché dopo il periodo della guerra fredda, il Medioriente è diventato il mercato numero uno per la vendita delle armi e fintanto che produciamo le armi e non le vogliamo consumare in Occidente, troviamo il suo mercato altrove. Questo fa sì che non si possano mai fare passi in avanti per il progresso dei diritti umani». 

Le donne iraniane in Iran sono abbastanza unite nella consapevolezza che il regime è un regime dittatoriale che ha il suo fondamento nel patriarcato?  

«A questa domanda è difficile rispondere con certezza matematica poiché non ci sono censimenti al riguardo. Pertanto, mi baso solo sulle mie osservazioni e impressioni. Quello che si può presumere, osservando soprattutto gli ultimi sviluppi della società iraniana, in Iran questa consapevolezza è in costante crescita. L’aumento del tasso del divorzio e dell’età del matrimonio, dichiarati dall’Istituto Nazionale di Statistica iraniano, pur essendo realtà deplorevoli che testimoniano tra l’altro la povertà economica, evidenziano anche la consapevolezza maturata dalle iraniane sulla notevole discrepanza tra il diritto istituzionalizzato e la loro coscienza. Un solo esempio: il codice della famiglia iraniano continua a riconoscere la poligamia come un diritto dell’uomo,  chiamato il “guardiano della donna”. Si è formato quindi un vasto divario tra ciò che la donna iraniana di oggi considera il proprio diritto e ciò che invece la legge riconosce come il suo diritto». 

Quali sono i convincimenti più diffusi tra le iraniane in Italia sulla questione del velo?

«In Italia è difficile trovare le iraniane velate. Questo è dovuto alle ragioni per cui gli iraniani emigrano in Italia. Gli iraniani non scelgono la penisola come la loro destinazione per il lavoro, ma per il percorso universitario. Molti di loro escono dal paese perché non sopportano la teocrazia dittatoriale che lo governa. Quindi l’età, l’ambito accademico e il motivo dell’immigrazione fa sì che la popolazione iraniana mostri tendenze critiche alla lettura tradizionale dell’Islam o all’Islam in sé». 

L’Occidente come potrebbe sostenere il movimento delle donne nei paesi islamici?

«La volontà di rettificare il diritto da parte dei cittadini potrebbe giungere l’esito desiderato solo quando un paese economicamente è al livello di accogliere le esigenze basilari dei cittadini. Inoltre, fintanto che i paesi di una certa zona del mondo subiscono le eventuali ingerenze e minacce da parte dei poteri esterni, qualsiasi sviluppo concernente i diritti umani rimarrebbe in sospeso. Purtroppo, l’imperialismo ha contribuito al pan-islamismo e alla formazione delle identità reattive tra i musulmani, i quali hanno intralciato o nelle migliori delle ipotesi, hanno de-priorizzato lo sviluppo dei diritti umani nei paesi islamici. Pertanto, credo che il sostegno più significativo che potremmo dare tutti noi al movimento delle donne nei paesi islamici, sarebbe contrastare in parole, in atto e in qualsiasi maniera la produzione delle armi e le infrazioni delle convenzioni internazionali sul rapporto tra gli Stati».