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Perù. La magistratura ha deciso di fornire un risarcimento completo alle donne vittime di sterilizzazione forzata

Tra 1996 e 2000, il governo del dittatore Alberto Fujimori in Perù supervisionò una massiccia campagna di pianificazione familiare e contenimento dell’emergenza demografica conosciuta come Contraccezione chirurgica volontaria. All’incirca 300 000 donne, principalmente indigene (soprattutto di etnia quechua e aymara), furono obbligate ad essere sterilizzate durante questo periodo; spesso per l’appunto senza esserne informate. Una delle tante pagine nere dei dieci anni al potere dell’uomo politico di origine giapponese, condannato in seguito a oltre 30 anni di prigione per crimini contro l’umanità, corruzione e uso di fondi pubblici a fini illeciti.

Ora, dopo anni di battaglie nelle piazze e nei tribunali, lunedì 28 novembre la magistratura peruviana ha deciso di fornire un risarcimento completo alle donne vittime della sterilizzazione forzata. Secondo il documento, le vittime devono essere iscritte nel Registro unico che raccoglie i casi evidenziati. L’Associazione delle donne peruviane colpite dalla sterilizzazione forzata (Asociación de Mujeres Peruanas Afectadas por Esterilizaciones Forzadas), lamenta però che il provvedimento riguarderà, al momento, un numero esiguo di donne, circa 8 mila.

«La Quinta Corte Costituzionale di Lima ha dichiarato fondato il procedimento intentato da Inés Condori Anaya, María Mogollón, Félix Rojas, Horacio Pacori, Raquel Reynoso e Romy García contro il Ministero della Giustizia. Si ordina al convenuto di emanare la corrispondente risoluzione ministeriale che riconosca il diritto costituzionale alla piena riparazione delle vittime della sterilizzazione forzata, raggruppate nell’Associazione delle Vittime della Sterilizzazione Forzata e iscritte nel Registro Unico delle Vittime della Sterilizzazione Forzata attraverso l’attuazione di una politica di piena riparazione», si legge nella documentazione ufficiale.

Rute Zúñiga, presidente dell’Associazione, ha dichiarato al giornale Prensa Latina che la sua organizzazione sta chiedendo al Ministero della Giustizia di garantire che i suoi procuratori non ricorrano in appello contro la sentenza del tribunale e che il governo inizi a pagare il risarcimento.

La campagna di sterilizzazione di massa delle donne povere e indigene aveva obiettivi che il personale sanitario incaricato era obbligato a raggiungere, e numerose testimonianze delle persone colpite indicano che sono state private della possibilità di concepire figli con l’inganno o con la forza. Invece di venire informate sui diritti riproduttivi e sui metodi anticoncezionali, si è preferito procedere a sterilizzazioni forzate, così da risolvere in maniera definitiva il “problema”. Le popolazioni indigene, caratterizzate da una natalità più consistente, sono state l’obiettivo primario della campagna, che ha riguardato anche oltre 20mila uomini. È stato ed è ancora un percoso lungo e tortuoso quello del riconoscimento di quanto accaduto, ma negli anni vari documenti via via emersi hanno mostrato senza ombra di dubbio la pianificazione messa in atto dal ministero della Salute in diretto contatto con il presidente Fujimori. Ad esempio nel solo 1997 era stato fissato un obiettivo di addirittura 170mila sterilizzazioni da attuare.

Ora finalmente un riconoscimento ufficiale da parte della magistratura che potrebbe portare a future riparazioni più ampie.