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Morto Harry Belafonte, gigante della musica e dei diritti civili

È morto Harry Belafonte, il gigante dei diritti civili e dello spettacolo che, nato come attore e cantante, è diventato attivista umanitario e coscienza del mondo. Aveva 96 anni.

Belafonte è morto ieri martedì 25 aprile per insufficienza cardiaca nella sua casa di New York, con la moglie Pamela al suo fianco, ha dichiarato Ken Sunshine, della società di pubbliche relazioni Sunshine Sachs Morgan & Lylis.

Con il suo volto luminoso e affascinante e la sua voce di seta, Belafonte è stato uno dei primi artisti di colore a ottenere un ampio seguito al cinema e a vendere un milione di dischi come cantante; molti lo conoscono ancora per la sua hit “Banana Boat Song (Day-O)”, con il suo richiamo “Day-O! Daaaaay-O”, diventato uno dei brani più celebri della musica del ‘900. Ma ha forgiato un’eredità più grande quando ha ridotto la sua carriera di artista negli anni Sessanta e ha vissuto nel concreto le parole del suo eroe Paul Robeson ( a sua volta artista e attivista per i diritti) secondo cui gli artisti sono «custodi della verità».

Pochi hanno tenuto il passo con il tempo e l’impegno di Belafonte e la sua statura come punto d’incontro tra Hollywood, Washington e il movimento per i diritti civili.

Belafonte non solo partecipò alle marce di protesta e ai concerti di beneficenza, ma contribuì a organizzarli e a raccogliere sostegno. Lavorò a stretto contatto con il suo amico e coetaneo generazionale, il pastore battista Martin Luther King Jr, intervenendo spesso a suo favore sia con i politici che con i colleghi del mondo dello spettacolo e aiutandolo finanziariamente. Ha rischiato la sua vita e i suoi mezzi di sostentamento e ha fissato standard elevati per le giovani celebrità nere, rimproverando Jay Z e Beyonce per non aver rispettato le loro «responsabilità sociali» e facendo da mentore a Usher, Common, Danny Glover e molti altri. Nel film di Spike Lee del 2018, “BlacKkKlansman”, è stato opportunamente interpretato come un anziano statista che insegna ai giovani attivisti il passato del Paese.

L’amico di Belafonte, il leader dei diritti civili Andrew Young, avrebbe notato che Belafonte era una di quelle rare persone a diventare più radicali con l’età. Era sempre impegnato e inflessibile, disposto a sfidare i segregazionisti del Sud, i liberali del Nord, fino al primo presidente nero del Paese, Barack Obama.
Belafonte è stato un artista importante fin dagli anni Cinquanta. Nel 1954 vinse un Tony Award per il suo ruolo di protagonista in “Almanac” di John Murray Anderson e cinque anni dopo divenne il primo artista nero a vincere un Emmy per lo speciale televisivo “Tonight with Harry Belafonte”.

Nel 1954, è co-protagonista con Dorothy Dandridge del musical “Carmen Jones”, diretto da Otto Preminger, un successo popolare per un cast interamente nero. Il film “Island in the Sun” del 1957 fu vietato in diverse città del Sud, dove i proprietari dei cinema furono minacciati dal Ku Klux Klan a causa della storia d’amore interrazziale tra Belafonte e Joan Fontaine.

Il suo “Calypso“, pubblicato nel 1955, divenne il primo album di un artista solista ad aver venduto un milione di copie e diede inizio a un’infatuazione nazionale per i ritmi caraibici (Belafonte fu soprannominato il “Re del Calypso”). Tra gli ammiratori di Belafonte c’era anche un giovane Bob Dylan, che debuttò nei primi anni ’60 suonando l’armonica in “Midnight Special” di Belafonte.

«Harry era il miglior balladeer /cantante di ballate) del Paese e tutti lo sapevano», scrisse in seguito Dylan. «Era un artista fantastico, cantava di amanti e di schiavi – di lavoratori delle gang, di santi e di peccatori e di bambini. … Harry era quel raro tipo di personaggio che irradia grandezza, e speri che un po’ di essa si trasmetta a te».

Belafonte fece amicizia con Martin Luther King nella primavera del 1956, dopo che il giovane pastore e leader dei diritti civili lo chiamò per chiedere un incontro. Parlarono per ore e Belafonte ricorderà di aver sentito che King lo aveva elevato al «livello più alto della protesta sociale». All’apice della sua carriera di cantante, Belafonte produsse presto un concerto di beneficenza per il boicottaggio degli autobus a Montgomery, in Alabama, che contribuì a rendere King una figura nazionale. All’inizio degli anni ’60 decise di fare dei diritti civili la sua priorità.

«Avevo colloqui quasi quotidiani con Martin», ha scritto Belafonte nel suo libro di memorie “My Song”, pubblicato nel 2011. «Mi resi conto che il movimento era più importante di qualsiasi altra cosa».

I Kennedy furono tra i primi politici a chiedere le sue opinioni, che egli condivideva volentieri. John F. Kennedy, in un’epoca in cui i neri avevano la stessa probabilità di votare per i repubblicani e per i democratici, era così ansioso di ottenere il suo sostegno che durante le elezioni del 1960 andò a trovare Belafonte nella sua casa di Manhattan. Belafonte istruì Kennedy sull’importanza di King e fece in modo che si parlassero.

«Ero abbastanza colpito dal fatto che lui (Kennedy) sapesse così poco della comunità nera», ha detto Belafonte alla NBC nel 2013. «Conosceva i titoli dei giornali del giorno, ma non era davvero in grado di cogliere le sfumature o i dettagli della profondità dell’angoscia dei neri o di cosa sia realmente la nostra lotta».
Belafonte avrebbe spesso criticato i Kennedy per la loro riluttanza a sfidare i segregazionisti del Sud, che allora erano una parte sostanziale del Partito Democratico. Litigò con il procuratore generale Robert F. Kennedy, fratello del presidente, per la mancata protezione da parte del governo dei “Freedom Riders” che cercavano di integrare le stazioni degli autobus. Fu tra gli attivisti neri in un incontro ampiamente pubblicizzato con il procuratore generale, quando la commediografa Lorraine Hansberry e altri stupirono Kennedy mettendo in dubbio che il Paese meritasse la fedeltà dei neri.
«Bobby diventò rosso a quel punto. Non l’avevo mai visto così scosso», scrisse in seguito Belafonte.
Nel 1963, Belafonte fu profondamente coinvolto nella Marcia su Washington. Reclutò il suo caro amico Sidney Poitier, Paul Newman e altre celebrità e convinse l’uomo di sinistra Marlon Brando a co-presiedere la delegazione hollywoodiana insieme al più conservatore Charlton Heston, un’accoppiata pensata per fare appello a un pubblico il più ampio possibile. Nel 1964, insieme a Poitier, consegnò personalmente decine di migliaia di dollari agli attivisti del Mississippi dopo l’assassinio di tre volontari della “Freedom Summer” – a un certo punto le due celebrità furono inseguite in auto da membri del Ku Klux Klan. L’anno successivo, portò Tony Bennett, Joan Baez e altri cantanti a esibirsi per i marciatori di Selma, in Alabama.

Quando King fu assassinato, nel 1968, Belafonte aiutò a scegliere l’abito con cui fu sepolto, si sedette accanto alla vedova Coretta al funerale e continuò a sostenere la famiglia.
«Gran parte della mia visione politica era già pronta quando incontrai il Dr. King», scrisse in seguito Belafonte. «Ero ben avviato e totalmente impegnato nella lotta per i diritti civili. Sono andato da lui con delle aspettative e lui le ha confermate».
La morte di King lasciò Belafonte isolato dalla comunità dei diritti civili. Le convinzioni separatiste di Stokely Carmichael e di altri attivisti del “Black Power” lo allontanavano e aveva poca sintonia con il successore designato di King, il pastore Ralph Abernathy. Ma le cause dell’intrattenitore si estendevano ben oltre gli Stati Uniti.

Fu mentore della cantante e attivista sudafricana Miriam Makeba e contribuì a farla conoscere al pubblico americano; i due vinsero un Grammy nel 1964 per il concerto “An Evening With Belafonte/Makeba“. Ha coordinato la prima visita di Nelson Mandela negli Stati Uniti dopo la sua liberazione dal carcere nel 1990. Qualche anno prima, ha dato vita alla registrazione di “We Are the World”, canzone di beneficenza vincitrice di un Grammy per la lotta contro la carestia in Africa.

La vita e la carriera di Belafonte sono state parallele a quelle di Sidney Poitier, morto nel 2022. Entrambi hanno trascorso parte della loro infanzia nei Caraibi e sono finiti a New York. Entrambi hanno prestato servizio militare durante la Seconda Guerra Mondiale, hanno recitato nell’American Negro Theatre e poi sono entrati nel mondo del cinema. «Sidney irradiava una dignità e una calma veramente sante», ha scritto Belafonte nel suo libro di memorie.
Hanno avuto enorme rilievo le sue parole con le quali aveva paragonato Colin Powell, il primo segretario di Stato nero, a uno schiavo «autorizzato a entrare nella casa del padrone» per il suo servizio nell’amministrazione di George W. Bush. Nel gennaio 2009 era a Washington in occasione dell’insediamento di Obama, officiando insieme a Baez e ad altri il gala chiamato Inaugural Peace Ball. Ma Belafonte avrebbe in seguito criticato Obama per non essere stato all’altezza delle sue promesse e per la mancanza di «un’empatia fondamentale con i diseredati, siano essi bianchi o neri».

Belafonte è stato occasionalmente al servizio del governo, come consigliere culturale per i Peace Corps durante l’amministrazione Kennedy e decenni dopo come ambasciatore di buona volontà per l’Unicef.
Harry Belafonte era nato nel 1927 da Harold George Bellanfanti Jr. ad Harlem. Suo padre era un marinaio e cuoco di origini olandesi e giamaicane, mentre sua madre, in parte scozzese, lavorava come domestica. Entrambi i genitori erano immigrati senza documenti e Belafonte ha ricordato di aver vissuto «una vita clandestina, come una sorta di criminali, in fuga».

Il nucleo familiare era violento: Belafonte fu picchiato brutalmente dal padre e fu mandato a vivere per diversi anni da alcuni parenti in Giamaica. Belafonte leggeva poco – probabilmente era dislessico, come si rese conto in seguito – e abbandonò le scuole superiori, arruolandosi presto in Marina. Durante il servizio, lesse “Colore e democrazia” dello studioso nero W.E.B. Du Bois e ne rimase profondamente colpito, definendolo l’inizio della sua formazione politica.
Dopo la guerra, trovò lavoro a New York come assistente custode di alcuni condomini. Un inquilino lo apprezzò a tal punto da regalargli i biglietti per uno spettacolo dell’American Negro Theatre, una comunità di artisti neri. Belafonte ne rimase così colpito che si unì come volontario e poi come attore.
Belafonte incontrò Brando, Walter Matthau e altre future star mentre frequentava i corsi di recitazione alla New School for Social Research. Brando era una fonte di ispirazione come attore, e lui e Belafonte divennero molto amici, a volte salendo sulla moto di Brando o suonando le congas insieme alle feste. Nel corso degli anni, la vita politica e artistica di Belafonte lo porterà a stringere amicizia con tutti, da Frank Sinatra e Lester Young a Eleanor Roosevelt e Fidel Castro.

Tra i suoi primi lavori teatrali figurano “I giorni della nostra giovinezza” e “Juno and the Peacock” di Sean O’Casey, uno spettacolo che Belafonte ricorda non tanto per la sua interpretazione quanto per un ospite dietro le quinte, Robeson, attore, cantante e attivista.

«Ciò che ricordo più di qualsiasi cosa Robeson abbia detto, è l’amore che irradiava e la profonda responsabilità che sentiva, come attore, di usare il suo palconoscenico come un pulpito dirompente», ha scritto Belafonte nel suo libro di memorie. La sua amicizia con Robeson e il suo sostegno alle cause di sinistra finirono per creare problemi al governo. Gli agenti dell’FBI gli fecero visita a casa e le accuse di comunismo gli causarono vari guai.

Negli anni Cinquanta Belafonte si dedicò anche al canto, trovando ingaggi al Blue Note, al Vanguard e in altri club – per un’esibizione fu affiancato da Charlie Parker e Max Roach – e immergendosi nel folk, nel blues, nel jazz e nel calypso che aveva ascoltato quando viveva in Giamaica. A partire dal 1954, pubblicò album tutti entrati in classifica come “Mark Twain and Other Folk Favorites” e “Belafonte”, e i suoi singoli più popolari includevano “Mathilda”, “Jamaica Farewell” e “The Banana Boat Song”, una ballata caraibica rielaborata che fu un’aggiunta tardiva al suo disco “Calypso”.


Foto da profilo Flickr di United Nations Photo