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Sudan. I giovani del Consiglio delle Chiese chiedono pace e Corridoi umanitari

«E i nostri malati e i feriti! E ancora: «e il futuro dei nostri figli! Il Sudan ci riguarda tutti» – si legge nella dichiarazione dei giovani del Consiglio delle chiese del Sudan –. «Fermare la guerra è l’unica scelta per realizzare il sogno della rivoluzione e per servire davvero il popolo del proprio paese», prosegue il testo.

La dichiarazione afferma che «Se il conflitto proseguirà, porterà inevitabilmente il paese a una svolta davvero pericolosa con morti nuove anche a causa della mancanza di cibo, della diffusione di malattie e altro ancora. Sì alla pace, dunque, unica occasione per la costruzione del Paese desiderato. Chiediamo l’apertura di Corridoi umanitari in modo che i cittadini possano essere evacuati dai luoghi di guerra». Il comunicato dei giovani riportato dal sito del Consiglio ecumenico delle chiese (Cec), auspica un ritorno alla voce della ragione. «Le nostre condoglianze alle nostre famiglie per la perdita del nostro caro popolo sudanese. Chiediamo a Dio di guarire i nostri feriti».

Intanto Antonella Napoli, direttirice della rivista Focus on Africa scrive sulle pagine di la Repubblica: «Non era mai accaduto prima. Una fuga di massa dal Sudan, come quella che ha coinvolto i 140 italiani evacuati da Khartoum, non si era verificata neanche quando i ribelli del Darfur erano arrivati alle porte della capitale sudanese per cacciare l’ex dittatore Omar Hassan al-Bashir. […] I nostri connazionali, arrivati tutti nella tarda mattinata di domenica in ambasciata, nella centralissima Street 39, Block 61, divenuta punto di raccolta per chi era ancora nella capitale sudanese – 20 erano già in salvo in Egitto, raggiunto via terra – sono stati imbarcati sui C130, in arrivo da Gibuti, per poi volare in Italia poco dopo le 18.
Con loro anche alcuni cittadini svizzeri ai quali è stata fornita la stessa assistenza e il passaggio sicuro per tornare nel loro paese via Roma. Non è stato semplice mettere in sicurezza tutti gli italiani in una situazione di totale instabilità, che cambiava in continuazione […]. Hanno invece deciso di rimanere in Sudan tutti gli operatori di Medici senza frontiere che hanno finora assistito 354 feriti a causa degli intensi combattimenti tra l’esercito sudanese e le Forze di Supporto Rapido che non si sono fermati neanche durante l’annunciata tregua per le celebrazioni della fine del Ramadan.
Il bilancio delle vittime del conflitto si accresce di giorno in giorno, sono quasi 900 i morti e una decina di migliaia i feriti. E la situazione non può che peggiorare, oltre l’80 % degli ospedali è al collasso».