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La direttrice del centro per l’infanzia di Ntolo (Camerun) in visita a Torre Pellice

Negli anni ’90 la collaborazione di Marco Tullio e Alba Florio con l’ospedale di Ndoungué (Camerun) ha prodotto, tra gli altri suoi frutti, la conoscenza e poi il sostegno al centro per l’infanzia di Ntolo. Si tratta di un’istituzione nata ben 108 anni fa, in epoca coloniale, concepita per l’assistenza alle ragazze madri e successivamente evolutasi in centro evangelico di reinserimento sociale per l’infanzia (Ceren è l’acronimo in francese). Il centro ospita circa 100 bambini in età scolare in condizioni di abbandono, di povertà o con problemi familiari e caratteriali. Lo scopo è quello di far loro compiere gli studi e di avviarli a un positivo inserimento nella società. Il Ceren è finanziato, tra gli altri, da una rete italiana di adozioni a distanza che oggi sostiene ben 47 bambini e che vede coinvolti singoli, membri della Chiesa valdese molti dei quali aderenti al Gruppo missioni Cevaa, gruppi di scuole domenicali (fantastici i ragazzi del precatechismo di Torre Pellice, con ben 5 adozioni!).

Un’occasione per conoscere più da vicino il Ceren è stata la visita a Torre Pellice dal 25 al 30 luglio scorsi, ospite della Diaconia valdese e del Gruppo missioni Cevaa, di Mme Josette Fossouo, da due anni direttrice del Centro e responsabile del Dipartimento diaconia della Chiesa evangelica del Camerun. In un incontro con circa 40 donatori è stato possibile ascoltare da Mme Fossouo notizie sui problemi e i progressi di ogni ragazzo. Per gli ospiti di Ntolo la scolarizzazione è la via per costruirsi il futuro, uscendo da condizioni di marginalità e miseria e arrivando, in alcuni casi, fino agli studi universitari, coperti da finanziamenti del Ceren che si preoccupa pure di seguire il percorso umano e accademico degli studenti. Il Ceren non dispone di una scuola ma inserisce gli ospiti nel sistema educativo locale. Una Toyota Land Cruiser, acquistata con l’8 per mille valdese nel 2002, serve appunto a portare a scuola i ragazzi e ad approvvigionare il Centro percorrendo le difficili strade camerunesi (specie durante la stagione delle piogge); dopo diversi e costosi interventi di manutenzione, finanziati dai donatori italiani, si chiederà un altro finanziamento dell’otto per mille per donare al Ceren una nuova vettura. Lo sport è un altro modo per acquisire fiducia nelle proprie capacità e per inserirsi positivamente nel contesto sociale: molti ragazzi «problematici» si stanno affermando in questo campo, come Constantin e Gisette, campioni regionali di pallavolo, o Donatien che si fa strada come calciatore.

Mme Fossouo ha sottolineato che il soggiorno a Ntolo è concepito come un momento di passaggio a seguito del quale gli ospiti tornano nel contesto di provenienza: ove possibile, il rapporto con le famiglie non viene mai spezzato. Un esempio di questa interazione è dato dall’istituzione di una «garderie» (asilo nido) che, se da un lato consente ai genitori di andare al lavoro in campagna, dall’altro li vincola ad orari precisi di rientro, garantendo che i bambini non siano «depositati» chissà dove per tutta la giornata. Altro importante orientamento pedagogico del Ceren è costituito dal mutuo aiuto: gli universitari preparano i liceali prima delle sessioni di esame, «restituendo» in parte ciò che hanno ricevuto.

Nel corso dell’incontro i donatori hanno potuto prendere coscienza della realtà del Ceren e dei «propri» bambini anche connettendosi direttamente al sito http://www.diaconie-eec.org/ceren.php: un modo semplice e immediato di constatare l’efficacia delle loro donazioni. Il Ceren è in Camerun un’esperienza conosciuta e apprezzata anche dallo Stato, essendo stato inserito come progetto pilota nell’ambito delle azioni Unicef nel Paese: ciò significa che Mme Fossouo contribuisce a diffondere le «buone pratiche» di Ntolo anche in un contesto più vasto. Alla fine dell’incontro, tra i partecipanti si condivideva la soddisfazione per i risultati di un aiuto che, con 250€ all’anno (utilizzati esclusivamente per coprire il costo di un’adozione) consente di risolvere tanti problemi concreti. Un esempio di «cooperazione dal basso» tanto più significativo in questo tempo di riduzione drastica dell’«aiuto allo sviluppo» del governo italiano.