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150 anni di presenza avventista in Italia

Il convegno di studi in corso ancora oggi a Villa Aurora, viuzzo del Pergolino, 4 (Firenze), di cui abbiamo riferito ieri, rientra nel fitto programma delle celebrazioni dei 150 anni di presenza in Italia della Chiesa avventista, organizzato dall’Unione italiana delle chiese cristiane avventiste del 7° giorno (Uicca). A margine del convegno fiorentino, abbiamo rivolto alcune domande a Dora Bognandi, direttore associato del Dipartimento affari pubblici e libertà religiosa (Aplr) dell’Uicca.

In questi 150 anni di presenza in Italia, cosa ha caratterizzato la testimonianza delle chiese avventiste?

L’elemento forse più caratteristico è l’internazionalizzazione avvenuta all’interno dell’Uicca. Le migrazioni hanno fatto crescere moltissimo la Chiesa avventista che adesso è composta per il 50% da membri che non sono italiani: sono per lo più romeni, ghanesi, latinoamerticani e filippini.

Ci sono state delle difficoltà nell’integrazione delle diverse culture e spiritualità?

Sicuramente c’è un modo diverso di vivere la propria fede che risente molto della cultura di provenienza. In questi anni abbiamo riconosciuto che esiste un modo diverso di declinare l’avventismo, e dunque spesso diciamo che siamo consapevoli che ci sono più avventismi all’interno dell’avventismo. Nell’Uicca ci sono comunità etniche, quelle cioè formate da stranieri, che per la verità non sono molte. Preferiamo che le comunità siano internazionali, cioè che favoriscano la presenza di italiani e stranieri al loro interno, in modo che avvenga l’incontro reciproco e si faciliti l’integrazione.

La celebrazione di un anniversario è il momento per fare memoria del proprio passato ma è anche un’occasione per volgere il proprio sguardo sul presente da cui ripartire. Quali sono le sfide che oggi le chiese avventiste affrontano?

La sfida principale è cercare di essere sale in questa società, per riprendere una immagine del Nuovo Testamento. Primo passo è saper leggere la società nella quale come credenti viviamo, e comprendere quali sono i problemi da affrontare, per poi capire quale può essere il nostro contributo. Certamente ci sono modi diversi di leggere il mondo che ci circonda, con il quale è importante dialogare. La chiesa avventista in questo è avvantaggiata dal fatto di avere molti Dipartimenti che, sulle questioni, offrono prospettive diverse che cerchiamo poi di comporre insieme, come pezzi di un puzzle, in modo da essere chiese che con la loro testimonianza sanno dare “sapore” alle città e ai luoghi in cui si trovano.

Quale può essere il contributo specifico degli avventisti nell’ambito della più ampia famiglia dell’evangelismo italiano?

Come premessa vorrei condividere la mia speranza che ci si possa sentire sempre più parte della famiglia evangelica allargata. Al suo interno, credo che la specificità degli avventisti in qualche modo stia nel nostro nome e, dunque, nel richiamo ai credenti a non pensare solo a questa vita terrena, ma a vivere in una prospettiva escatologica, più rivolta al Regno dei cieli che ci auguriamo arrivi presto, anche se non sappiamo esattamente quando arriverà. Inoltre, un altro contributo è quello di vivere una vita coerente con la Parola del Signore, che noi riceviamo attraverso la Bibbia che, nonostante sia stata scritta tanti anni fa, ci parla ancora e ha ancora delle cose preziose da offrirci per vivere e affrontare le sfide del nostro tempo.