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Sfogliando i giornali del 30 dicembre

01 – Eni esce dal progetto del gasdotto South Stream

Nella serata di ieri la compagnia petrolifera italiana Eni ha annunciato di aver ceduto all’azienda di stato russa Gazprom la propria quota nel progetto South Stream, pari al 20%. Il progetto prevedeva la costruzione di un gasdotto dalla Russia all’Europa meridionale passando attraverso il mar Nero e quindi tagliando fuori l’Ucraina, ma all’inizio di dicembre era stato bloccato dal presidente russo Vladimir Putin. Gazprom, che aveva proposto e gestito South Stream fino a questo punto, sta riacquistando le quote dei soci internazionali: oltre a Eni, infatti, anche Edf e Wintershall stanno chiudendo i propri rapporti di collaborazione, con un costo per la società russa che va stimato in almeno 750 milioni di euro, ma sul quale graveranno ancora gli appalti già attribuiti, come quello da 2,5 miliardi per Saipem, gruppo controllato proprio da Eni.

02 – Kivu, si arrendono i ribelli delle Forze democratiche di liberazione del Rwanda

Con una settimana di anticipo rispetto all’ultimatum rivolto dalla comunità internazionale a tutti i combattenti presenti in Nord e Sud Kivu, circa 150 ribelli hutu rwandesi hanno deciso di arrendersi e hanno annunciato che deporranno le armi. Si tratta di ex combattenti delle Fdlr, le Forze democratiche di liberazione del Rwanda e delle loro famiglie, inclusi donne e bambini, che hanno deciso di consegnarsi alle autorità locali a Buleusa, nel Nord Kivu. A questi si aggiunge un altro gruppo, radunato anche in questo caso a Buleusa, e un terzo, composto da 72 ex ribelli e 168 donne, che ha invece raggiunto il centro di Burhinyi. In base ai programmi della missione Onu Monusco, i ribelli del Kivu saranno trasferiti a Kisangani, capitale della provincia orientale, dove si trovano già altri esponenti delle Fdlr che si sono arresi nei mesi scorsi. Secondo le stime più recenti, i membri delle Fdlr nella zona sono tra i 1500 e i 2000, e sono in gran parte accusati di coinvolgimento nel genocidio ruandese del 1994, motivo per cui il governo di Kigali ha annunciato che rifiuterà ogni dialogo con la ribellione fino al completamento del disarmo.

03 – Condannato a tre anni e mezzo di carcere l’oppositore russo Aleksej Navalnij

Un tribunale di Mosca ha condannato l’oppositore politico e blogger Aleksej Navalnij e suo fratello Oleg a tre anni e mezzo di carcere con l’accusa di appropriazione indebita di 30 milioni di rubli ai danni di due imprese straniere, tra cui la francese Yves Rocher, che, tuttavia, nega che il crimine sia stato commesso. Mentre il fratello sconterà la condanna in carcere, ad Aleksej Navalnij è stata riconosciuta la sospensione condizionale della pena. Da alcuni anni Navalnij è considerato il principale oppositore politico di Putin, e la sua campagna per l’elezione a sindaco di Mosca nel 2013, quando arrivò secondo dietro al candidato vicino al presidente, aveva ottenuto molta eco nei paesi occidentali, ancora in attesa di individuare un possibile alleato all’interno della politica russa.

04 – Ebola, un contagio in Scozia

La Scozia ha annunciato ieri la presenza di un caso accertato di contagio da virus Ebola nella città di Glasgow. Il contagio è stato diagnosticato a un’operatrice sanitaria tornata nelle scorse settimane dalla Sierra Leone, e rappresenta il secondo caso nel Regno Unito dopo quello dell’infermiere William Pooley, attualmente in cura a Londra. La donna, arrivata a Glasgow domenica 28 dicembre facendo scalo a Heathrow, è stata ricoverata in isolamento a Glasgow e poi trasferita al Royal Free Hospital di Londra, dove è già stato curato con successo il caso precedente. Secondo la leader scozzese Nicola Sturgeon «il rischio di un contagio è molto basso». Inoltre si ritiene che l’operatrice al rientro in Scozia abbia avuto contatto con una sola persona, la cui salute è già monitorata. Intanto, l’Organizzazione mondiale della sanità ha dichiarato che dall’inizio dell’epidemia 20.081 persone sono state contagiate dall’ebola in Sierra Leone, Liberia e Guinea, e 7.842 sono morte.

05 – Obama non esclude la riapertura dell’ambasciata degli Stati Uniti in Iran

Con le parole «mai dire mai», il presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha affermato ieri di non escludere la possibilità di riaprire una rappresentanza diplomatica in Iran se i negoziati sul nucleare dovessero prendere la giusta direzione, al di là delle intenzioni. Secondo La Stampa, Obama non esclude neppure che la riapertura dell’ambasciata possa avvenire addirittura entro il 2016, anno della fine del suo secondo mandato. Dopo la svolta nei rapporti con Cuba, ora Obama cerca di includere nel processo diplomatico l’Iran, paese che secondo il presidente potrebbe diventare «una potenza regionale di grande importanza». Al centro del dibattito ufficiale tiene banco il dossier nucleare e i passi avanti, pur a fasi alterne, compiuti dai negoziati sul programma atomico iraniano a uso civile in cambio della rimozione delle sanzioni. Tuttavia non vanno sottovalutati il ruolo della convergenza militare nella guerra contro l’Isis e il bisogno dell’Iran di fronteggiare crescenti difficoltà economiche a causa del recente crollo del prezzo del petrolio.