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Ovuli poco ecumenici?

Nel mese di dicembre è passata quasi sotto silenzio una notizia che, a mio parere, meriterebbe una riflessione ecumenica approfondita e condivisa. Il 18 dicembre scorso la Corte di giustizia europea, ribaltando una sua precedente sentenza del 2011, ha stabilito che un ovulo umano, manipolato geneticamente (ma non fecondato), può essere brevettato a fini industriali. Si aprono così nuove porte alla ricerca medica, ma soprattutto al suo sfruttamento commerciale. Che, per definizione, ha come obiettivo principe il guadagno individuale.

A parte alcune reazioni indignate di parte cattolica, non mi pare che la notizia abbia spinto i cristiani (e tutti gli europei in generale) a interrogarsi più di tanto sulle conseguenze di tale decisione della Corte lussemburghese. In parte, la cosa è comprensibile: l’argomento fondamentale in favore della brevettabilità è il fine “alto” che ci si propone, cioè portare avanti le conquiste della scienza, allo scopo di trovare una soluzione a malattie, tipo il morbo di Parkinson, che angosciano migliaia di persone e le loro famiglie. Ma il punto in questo caso – mi pare – non è tanto la ricerca scientifica in sé per sé, ma il suo sfruttamento commerciale in via esclusiva, ottenuto attraverso la registrazione di un “marchio” industriale sulla propria scoperta medica. E’ la stessa ombra che, ai miei occhi, rende quantomeno sospetto l’entusiasmo nei confronti degli Ogm in agricoltura: lo smaccato interesse personale di multinazionali che affermano di voler eliminare la fame nel mondo, ma che in realtà pensano ai propri profitti.

Tempo fa Michele Serra aveva scritto che, nel nostro mondo capitalistico un po’ bacato, non ci sono più frontiere per le merci, ma resistono – e talvolta odiosamente violente – le frontiere per gli uomini, specie i più poveri e disperati, i migranti, che sono costretti a lasciare la propria casa per cercare una vita migliore in terra straniera. Il predominio della merce sull’umano – in questa sentenza della Corte europea – mi pare abbia fatto un ulteriore salto di qualità. Siamo passati direttamente alla mercificazione dell’umano.

E’ vero che le Chiese cristiane, sui temi sensibili e complessi della bioetica, hanno idee e posizioni diverse. E tale diversa sensibilità non aiuta a sedersi intorno a un tavolo per ragionare insieme e produrre una riflessione condivisa. Ma siamo sicuri che questo tempo, così “liquido” e per tanti versi sgangherato, non richieda a tutti i fedeli in Gesù Cristo una parola comune proprio sulle questioni più difficili?

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