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Innanzitutto cittadini

«La Francia è stata colpita al cuore della sua natura laica e della sua idea di libertà», ha scritto su Le Monde, all’indomani dell’attentato contro Charlie Hebdo, il noto sociologo e filosofo francese Edgar Morin. Morin, come milioni di francesi, e come i tre terroristi che hanno insanguinato Parigi, è figlio di immigrati: suo padre era un ebreo sefadirta di Salonicco. Nel libro scritto insieme a Patrick Singaïny, La France une et multiculturelle (2012), insiste sulla «cultura laica che costituisce al tempo stesso uno dei caratteri più originali della Francia e la condizione sine qua non dell’integrazione dello straniero». Per questo, gli attentati compiuti da francesi figli di immigrati come lui contro altri francesi sono stati un gravissimo «colpo al cuore della Francia». La Francia infatti è il Paese che ospita la più grande comunità ebraica d’Europa (circa 500.000 persone) e la più grande comunità musulmana (circa 6 milioni). Tra la fine dell’800 e l’inizio del ’900, anni in cui predominava ancora fortemente la religione cattolica a livello statuale, elaborò un modello giuridico e una cultura che permisero da un lato, la pacificazione tra le varie religioni, dall’altro il «vivere insieme» di tutti i cittadini nella diversità delle loro credenze e convinzioni. Nacque così la laicità che si espresse prima con la creazione della scuola laica, negli anni 1881–83, quindi con la legge del 1905 sulla separazione tra chiese e Stato. Con questa separazione, contrariamente a quanto molti pensano, le religioni non furono affatto relegate nel privato ma, come ha scritto ancora di recente Jean Baubérot, uno dei massimi specialisti della laicità francese, «la religione è una scelta privata, personale e libera. A questo titolo, la religione è una componente della società civile e usufruisce, come le altre componenti, delle libertà pubbliche, in particolare della libertà di espressione. Ma la religione non deve né dominare lo spazio pubblico, né dettare la propria legge allo Stato». Inoltre: «I criteri di rispetto della libertà di coscienza di tutti, credenti e non credenti, e la non discriminazione per motivo di religione o di convinzione, costituiscono le finalità della laicità». Tali criteri, da oltre un secolo ormai, sono diventati patrimonio comune di tutti i francesi, di qualsiasi origine e di qualsiasi appartenenza religiosa, anche dei 6 milioni di musulmani che, nella loro stragrande maggioranza, danno la precedenza alla cittadinanza rispetto all’appartenenza religiosa. Anche il Consiglio nazionale degli evangelicali di Francia (Cnef), che rappresenta circa 350.000 persone, ha diffuso, il 7 gennaio scorso, un comunicato in cui afferma: «Il Cnef è mobilitato e più che mai determinato a difendere la libertà di coscienza e il suo corollario, la libertà di espressione per tutti». L’imponente manifestazione che si è svolta domenica a Parigi ha dimostrato al mondo intero il valore non negoziabile che per ogni cittadino francese ha la libertà di coscienza, madre di tutte le altre libertà, compresa quella di religione.

Secondo il controverso scrittore Michel Houellebecq, autore del romanzo «Soumission», presentato in prima pagina di Charlie Hebdo il giorno della strage, in cui immagina, nel 2022, una Francia dominata da un partito musulmano che governa con la sharia, «sta morendo una corrente di idee nata con il protestantesimo, che ha conosciuto il suo apogeo nel secolo dei Lumi, e prodotto la Rivoluzione. Tutto ciò sarà stato solo una parentesi nella storia umana», ha detto in un’intervista al Nouvel Observateur pubblicata il giorno prima dell’attentato. Una «parentesi» aperta da 5 secoli ormai e che non sembra sul punto di chiudersi, come si è visto appunto domenica a Parigi.

Tuttavia, come ha scritto Davide Romano su Notizie avventiste, «urge capire quali siano le cause e gli atteggiamenti mentali e religiosi che sovente le religioni, tutte, forse anche inconsapevolmente, diffondono, fornendo così indirettamente il pretesto ideologico a menti malate, inclini alla violenza». Questa è la conclusione a cui è giunto Gilles Kepel, esperto dell’islam e del mondo arabo, dopo un’approfondita indagine compiuta in una delle banlieue di Parigi: alcuni giovani di queste banlieue, che non hanno saputo reagire alle carenze delle politiche sociali e culturali dello Stato, hanno trovato, tramite internet, un’ideologia di sostituzione nell’islamismo radicale di stampo salafita, connesso al wahabismo imperante in Arabia saudita, che dà loro l’illusione di essere qualcuno e di dare un senso alla loro esistenza. Nel 1991, Kepel, con il libro La Revanche de Dieu, fu uno dei primi a interrogarsi sulle ragioni del cosiddetto «ritorno del religioso». Il libro si soffermava sull’emergenza di tre tipi di fondamentalismo religioso: l’islamismo radicale, l’evangelicalismo protestante, il movimento ebraico della Teshuvah. Ora, dal fondamentalismo, nato in casa protestante, all’integralismo, il passo è breve; così com’è breve il passo dal fanatismo religioso all’idolatria, oggetto del primo comandamento, «Non ti farai idolo», in quanto l’idolatria è l’opposto della fede, come hanno ribadito in questi giorni milioni di musulmani francesi che giustamente rifiutano di essere confusi con i jihadisti assassini. Nel 2012, dopo che Charlie Hebdo aveva riprodotto le caricature danesi anti Maometto, il pastore protestante Stéphane Lavignotte scrisse sul suo blog: «Penso che in teologia, la derisione può essere una forma del rispetto e la caricatura l’opposto dell’idolo». Oggi, il pastore della chiesa battista di Poitiers, Jean-Luc Gadreau, ha scritto sul suo blog «Dieu est humour (et donc amour… Car pas d’amour sans humour)». Tullio Vinay esprimeva la stessa cosa quando diceva che «lo humour è la sorellina dell’agape».

Foto « Manif 11 janvier 2015 (1) » par AriddTravail personnel. Sous licence CC BY-SA 4.0 via Wikimedia Commons.