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Primo Levi, una bussola per la Giornata della memoria

All’approssimarsi della Giornata della Memoria, puntualmente si riaffacciano anche alcuni dubbi, in parte giustificati. Si teme che una giornata celebrativa cancelli l’attenzione sulla Shoah per il resto dell’anno e che, come per tutte le ricorrenze, gli eventi di cui si parla vengano «ingessate» in una serie di rituali un po’ manierati. A questi dubbi credo venga una risposta da Primo Levi, nonostante ci si avvii nei prossimi anni al trentennale della sua scomparsa.

Il corpus delle opere di Primo Levi è una sorta di compendio di tutte le possibili riflessioni, già scritte, e anche future, intorno alla Shoah. Lo dimostrano due libri di recente pubblicazione: l’antologia, curata da Ernesto Ferrero, Ranocchi sulla luna e altri animali (Einaudi 2014), che raccoglie racconti, articoli e poesie uscite nell’arco di molti anni dalla macchina per scrivere e poi dal primo Macintosh di Levi; e il quinto (ultimo per ora) volume delle «Lezioni Primo Levi», organizzate annualmente dal Centro internazionale di Studi Primo Levi (Torino). La storica Anna Bravo ha firmato Raccontare per la storia (Einaudi 2014, in edizione bilingue italo-inglese), in cui dimostra come le riflessioni del chimico-scrittore, specialmente nello sconvolgente I sommersi e i salvati, offrano allo storico dei metodi, dei paradigmi interpretativi, che stroncano banalità e luoghi comuni imperanti fino a metà degli anni 80 (l’interesse rivolto principalmente ai deportati politici, la superficialità con cui si guardava all’interiorità e ai comportamenti degli internati). Ancora oggi, sottolinea Anna Bravo, si fanno travisamenti quando la famosa «zona grigia», in cui Levi collocava quei prigionieri che si trovarono ad avere degli incarichi nella macchina del Lager e che poterono evitarne in parte le peggiori conseguenze, viene considerata una terra di nessuno in cui collocare tutti coloro che «non prendono posizione». La realtà era ben diversa: il caso, l’arbitrio collocavano questo o quel prigioniero in un rango diverso dagli altri, ma poi qualunque minimo episodio, qualunque minimissimo privilegio (come condividere poche gocce d’acqua, cosa che Levi stesso fece con un amico, ma non con un secondo amico) può scavare un solco incolmabile là dove ci si aspetterebbe una resistente solidarietà.

Tutto, in I sommersi e i salvati, è interpretazione: per questo è un libro inimitabile ed è una miniera di spunti interpretativi per l’oggi: tutto, tranne un elemento, che Levi, pur seriamente votato all’understatement dice con chiarezza, e anche con una doverosa durezza: «Non so – scrive Levi – (…) se nel mio profondo si annidi un assassino un assassino, ma so che vittima incolpevole sono stato ed assassino no; so che gli assassini sono esistiti (…) e che confonderli con le loro vittime è una malattia morale o un vezzo estetistico o un sinistro segnale di complicità» (p. 89).

Può sembrare curioso accostare a queste pagine lapidarie le divagazioni sugli animali. Ma il legame c’è. Anna Bravo in apertura della sua lezione rifiuta l’idea di considerare Levi come «un’icona del Grande Testimone». «Un’icona – scrive – è per definizione sempre uguale a se stessa (…) mentre Levi è stato sì un grande testimone, ma al tempo stesso un poeta, un saggista, un narratore che si è misurato con temi diversi dalla Shoah. E anche sulla Shoah è stato un pensatore in divenire». Che, come dicevamo, non esitava a occuparsi di… animali. Da uomo di scienza (e in particolare chimico), Levi aveva una predilezione per la classificazione delle specie e degli elementi naturali, ma con una particolarità, che lo rende poeta: per paradosso (e i paradossi sono tanti nella letteratura ebraica, e in fondo anche nella Bibbia) nei suoi racconti di animali le descrizioni più particolareggiate, quasi da entomologo, di strane ed esotiche specie conosciute, si sposano e i confondono con quelle fantastiche di esseri inesistenti. Entrambe presentano una fascinazione descrittiva che è suggestione, mai sganciata però dalla realtà (anche quando si ipotizza che una tenia possa essere decrittata come un linguaggio cifrato).E proprio questa ambiguità è rivelatrice di un atteggiamento serenamente laico: se esiste il dubbio che l’animale in questione sia reale o inesistente (come le «città invisibili» del suo amico Italo Calvino), ciò significa che la nostra scienza (a cui pure egli credeva fermamente) non ci può tuttavia dire tutto sulla nostra esistenza. E comunque non ha potuto evitare gli abissi della peggior tragedia dell’umanità. Ancora una volta: grandi lezioni, prima intellettuali e poi politiche, a patto di volersene servire.

E intanto, apertasi una mostra a Torino («I mondi di Primo Levi. Una strenua chiarezza», dal 22 gennaio al 6 aprile, Palazzo Madama, Corte Medievale), attendiamo l’uscita, sempre presso Einaudi, di una raccolta di interviste e scritti sparsi (Così fu Auschwitz. Testimonianze 1945-1986). A dimostrazione del fatto che Primo Levi è una fonte inesauribile di riflessioni sempre coerenti ma sempre innovative: un vero e proprio alimento per corroborare le celebrazioni del Giorno della memoria e impedire che inaridiscano.