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Un giorno di ordinario servizio

Chi si occupa dei migranti appena arrivano in Italia, una volta che vengono assegnati ai centri di accoglienza? Sono medici e operatori che lavorano gratuitamente per una prima assistenza a persone smarrite, spesso traumatizzate da un viaggio durissimo, senza prospettive. Margherita Angeletti è un medico di famiglia di Senigallia, che per conto della Prefettura ha l’incarico di fare un primo screening ai migranti che, dopo essere sbarcati sulle coste siciliane, sono destinati alle strutture della Provincia di Ancona. «I centri sono strapieni – dice la dottoressa Angeletti – e l’organizzazione sovente precaria. La fobia delle malattie infettive, poi, non ha certo agevolato il nostro lavoro», dice. Il racconto di chi ogni giorno, da anni e senza clamore, svolge un servizio alla comunità.

Che patologie riscontra nei migranti che visita?

«Mal di testa, febbre, patologie gastroenteriche e di natura depressiva: arrivano poco vestiti, scalzi e provati dalla difficoltà del viaggio. Nonostante il clamore sull’ebola, non ho mai riscontrato nessuna malattia infettiva, soltanto un unico caso di sifilide. Spesso sono poverissimi, arrivano senza il minimo necessario, hanno bisogno anche della biancheria intima».

Da dove arrivano?

«Ho sentito che la rotta adesso è cambiata ma per ora le persone che ho visitato io arrivano dall’Africa o dal Medio Oriente, si imbarcano in Libia, dopo aver attraversato il deserto, spesso a piedi. Un siriano mi ha raccontato che erano stipati in 250 su una nave, piena anche di donne e bambini. C’è una grande differenza tra siriani e africani: i primi appartengono al ceto medio e fuggono dalla guerra ma sono diretti verso Svezia, Danimarca, Olanda; gli africani invece vengono in Italia spinti dalla povertà e si fermano nella speranza di trovare un lavoro. Vanno a fare la raccolta dei pomodori per tre euro all’ora. Il viaggio per arrivare fino in Europa è molto costoso, va dai 3mila ai 6mila euro. Ho incontrato una mamma siriana con il figlio di dieci anni, che si è imbarcata in Libia dopo un viaggio di due mesi a piedi».

Come funziona la prima assistenza ai migranti?

«Prima lavoravo con i pazienti quando erano nelle strutture d’accoglienza, ora non è più possibile perché gli stranieri senza permesso di soggiorno devono essere assistiti nei centri di accoglienza dal medico Stp, per stranieri temporaneamente presenti, che però lavora 4 ore a settimana. Io invece visito persone che arrivano direttamente da Lampedusa al centro della Croce Rossa di Ancona. L’organizzazione è molto precaria, gli orari di arrivo dei migranti sono vaghi, spesso inesatti e mi tocca aspettare per ore. Quando poi arrivano sovente non hanno nemmeno fatto una doccia, sono in condizioni non dignitose. Fino a poco tempo fa, per la paura dell’ebola, venivano anche accolti dagli operatori della Croce Rossa con mascherina e guanti, quando sappiamo che il rischio di incontrare delle persone contagiate era nullo. Spesso lavoro senza interpreti: ho dovuto mandare una donna al pronto soccorso perché non riuscivo a comunicare con lei e il giorno dopo i giornali locali hanno titolato “sospetto caso di ebola ad Ancona”».

Lo Stato in tutto questo dov’è?

«E’ una bella domanda ma non so rispondere. Le cooperative che gestiscono le strutture d’accoglienza nella nostra provincia lavorano con progetti europei e anche i fondi sono europei, Io sono consigliera comunale a Senigallia e posso assicurare che i nostri comuni hanno bilanci negativi, non ci sono soldi da investire. Non ce la facciamo».

Nel suo lavoro che cosa è cambiato negli ultimi anni?

«Ho più di 1600 pazienti e 3 ambulatori. Posso dire che la gente è disperata, la situazione sociale è cambiata drasticamente in questi ultimi 15 anni. I malati si aspettano da parte mia sicurezze che non so dare. Il farmaco è un viatico, un mezzo, ma vogliono tutto e subito, c’è meno dialogo, molta depressione e solitudine, a cui si aggiunge una grande sfiducia nello Stato».

Foto “Ancona tramonto sul mare“. Con licenza Pubblico dominio tramite Wikimedia Commons.