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Sud Africa. Affrontare la minaccia dell’Hiv attraverso l’istruzione

L’affermazione secondo la quale il virus dell’immunodeficienza umana (Hiv) è presente nella vita di ogni essere umano, indipendentemente dalla propria predisposizione alla malattia, può essere vista come scioccante, e anche offensiva. Eppure è la premessa che sta dietro un programma di formazione sull’Hiv portato avanti con successo in una delle società con il più alto tasso di Hiv in tutto il mondo, il Sud Africa, che ha inviato centinaia di educatori e ha raggiunto decine di migliaia di persone nell’arco di un decennio.

Lyn van Rooyen, direttore esecutivo del Christian Aids Bureau del Sud Africa (Cabsa), una organizzazione che lavora in partnership con il Consiglio ecumenico delle chiese (Cec), afferma che tale approccio provocatorio suggerisce l’idea che l’Hiv debba essere trattato non come un problema del singolo ma della comunità.

Secondo Lyn van Rooyen, infatti, i programmi di educazione all’Hiv possono essere inutili, o addirittura dannosi, quando la malattia dell’Hiv viene vista come il problema di qualcun altro. «Se le chiese considerano la pandemia come qualcosa che riguarda solo gli omosessuali o coloro che sono poveri, allora vedranno sempre l’Hiv come qualcosa che non le riguarda. Se voi che siete in Europa occidentale pensate che l’Hiv sia un problema delle persone del sud del mondo, allora la risposta alla malattia sarà data sempre da un punto di vista di superiorità».

Il programma di formazione promosso da Cabsa, e seguito da oltre 800 persone, prevede: l’insegnamento degli elementi facilitatori del virus e la sua trasmissione in un corpo umano; la risposta biblica alla malattia; misure concrete per rispondere alle sfide della pandemia.

In particolare, il programma Cabsa ha il merito di dare speranza a coloro che hanno perso ogni traccia di essa. «Stiamo portando speranza dal punto di vista medico e biblico, annunciando agli ammalati non solo che si può combattere il virus, ma che Dio li vede e li apprezza nonostante la malattia».

Certo, alcune barriere nella chiesa rimangono. Prevalgono, ad esempio, argomenti quali: la malattia è la punizione per il peccato; la malattia sessuale è la peggiore di tutte; le donne devono essere sottomesse ai mariti, anche se violenti, e non è compito delle donne mettere in discussione il comportamento del proprio marito. «La semplicistica campagna “Astieniti, sii fedele e usa preservativi” è inadeguata. Un mix malsano di cultura e teologia può portare risultati molto dannosi. È per questo che la formazione e l’istruzione rimangono i mezzi più economici ed efficaci per affrontare l’impatto della malattia sulla società», aggiunge Lyn van Rooyen.

Molti fattori giocano un ruolo nella trasmissione dell’Hiv e dell’Aids, come ad esempio la disuguaglianza di genere, l’instabilità sociale derivante dalle guerre e dalle migrazioni. «Le persone coinvolte in queste circostanze sono quelle più esposte al rischio dell’Hiv. Affrontarle è una questione di giustizia, a cui la Chiesa deve dare una risposta», dice Van Rooyen.

Fonte: WCC

Foto via Flickr | Licenza CC BY-SA 2.0