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Un unico dottore nell’ospedale battista di Sanyati in Zimbabwe

A nove anni dall’inizio dell’impegno delle chiese battiste italiane in favore dell’Ospedale battista di Sanyati, nel distretto rurale di Gokwe in Zimbabwe, abbiamo rivolto alcune domande al medico missionario e direttore sanitario Mark Byler.

Dr Byler, da quanto tempo svolge il suo lavoro di medico nell’Ospedale di Sanyati in Zimbabwe?

Venni per la prima volta a Sanyati nel 1989. Vi lavorai per sette mesi per sostituire alcuni medici missionari che erano tornati per un periodo negli Stati Uniti. Poi ci ritornai ancora nel 1995-96 con mia moglie ed entrambi lavorammo qui per cinque mesi. Poi di nuovo per alcuni mesi nel 2000 e nel 2003. Poi nel 2004 tutti i medici diedero le dimissioni e così nell’agosto del 2004 con tutta la famiglia mi son trasferito e da allora sono rimasto a lavorare a tempio pieno in quest’ospedale.

Ci può dire quanti pazienti usufruiscono di questo presidio sanitario ogni anno, quanto personale vi è impiegato e quanti medici vi lavorano?

L’Ospedale copre una popolazione di circa 100.000 persone, cura in ambulatorio una media di 100 pazienti al giorno, assiste un centinaio di parti al mese e fra i 20 e i 40 pazienti sono giornalmente ricoverati. In questo momento c’è soltanto un altro medico oltre me. Ci sono 40 infermiere/i ed altro personale ausiliario, fra cui oltre agli aiuto infermieri, l’addetto alla farmacia, al laboratorio analisi, alla radiologia, il personale amministrativo, autisti, inservienti, addetti alla sicurezza. In tutto sono circa 95 dipendenti.

Una delegazione dell’Unione battista visitò l’ospedale per la prima volta nel 2006, uno degli anni più duri per l’economia del paese. Non c’erano farmaci, né dottori, non c’erano lavatrici, il generatore per compensare i lunghissimi blackout non funzionava, l’ambulanza era fuori uso, la moneta locale non valeva nulla e comunque l’ospedale era aperto e lavorava. Dopo nove anni può descriverci la situazione del paese e il suo impatto sul lavoro in ospedale?

L’ospedale ha continuato a lavorare in questi anni per la grazia di Dio e grazie alle donazioni che ci sono giunte dall’Italia, da alcune altre organizzazioni non governative e anche da singoli donatori. L’economia è migliorata soltanto dopo che l’uso del dollaro statunitense è diventato legale. Infatti per alcuni anni e fino all’aprile del 2009 lo Zimbabwe aveva la sua propria moneta nazionale ma l’inflazione cresceva sempre più fino a diventare fuori controllo. Pensate che nel 2008 aveva raggiunto il 20.000.000%, sì, sopra i 20 milioni%. Inimmaginabile! Fino ad allora la circolazione di moneta straniera era illegale, ma un cambiamento si impose perché le banche stavano ormai per chiudere e l’economia era al collasso. Così il governo legalizzò la circolazione di valuta straniera. Questa misura che si era resa indispensabile non ha risolto i gravissimi problemi economici – la disoccupazione continua a crescere – ma ha fermato l’inflazione e ora nei negozi ci sono prodotti da comprare, però i costi delle merci sono cresciuti fino a quattro volte i prezzi precedenti. Prima del declino la maggior parte dei beni usati dall’ospedale erano prodotti in Zimbabwe mentre ora sono importati con un aumento esponenziale dei costi e una ridotta reperibilità sul mercato. Possiamo ad esempio comprare alcuni tipi di farmaci qui ma non sempre sono disponibili.

Lo Zimbabwe è fra i paesi più colpiti dall’Aids. Quando la delegazione battista italiana visitò l’ospedale per la prima volta le statistiche riportavano che il 25% della popolazione ne era affetta con una mortalità molto alta. La situazione è oggi cambiata?

Lo Zimbabwe è ancora devastato dall’infezione. Non c’è una sola famiglia in Zimbabwe che non ne è toccata. Le statistiche registrano un miglioramento e l’informazione riguardante le vie di contagio è oggi molto più diffusa. L’utilizzo della terapia Anti retrovirale, che viene oggi resa disponibile gratuitamente, ha aiutato molti a convivere con la malattia e l’aspettativa di vita si è allungata. Tuttavia l’aspetto nutrizionale ha ancora un forte impatto. Se i pazienti, come accade in quest’area, non possono permettersi un pasto decente, non possono neppure combattere efficacemente la malattia. Oggi la percentuale dell’infezione è scesa da 1 su 4 a 1 su 6.     

In questi anni le è capitato molte volte di essere il solo dottore in tutto l’ospedale. Questa situazione è difficile da comprendere per noi in Europa. Cosa significa essere il solo dottore in un ospedale some quello di Sanyati?

È difficile da capire anche per colleghi negli Stati Uniti dove c’è un’abbondanza di medici! Essere il solo medico significa rendersi disponibili 24 ore su 24, 7 giorni su 7, cosa che a volte è davvero troppo. Per poter staccare un giorno devo fisicamente andarmene da Sanyati ma il peso della responsabilità di lasciare i pazienti senza un dottore non mi lascia davvero riposare. Quello che aiuta in questo contesto è che le infermiere e gli infermieri hanno un raggio di azione molto più ampio dei nostri infermieri negli USA. Qui le infermiere visitano i pazienti, prescrivono i farmaci, decidono l’ammissione dei pazienti, suturano le ferite, portano avanti da sole parti che non presentano complicazioni. Se non fosse così sarebbe impossibile per un solo medico far fronte ad un ospedale tanto attivo. Poi un medico quando è solo non deve solo visitare ed operare ma anche fungere da Direttore sanitario, sovrintendere all’amministrazione, provvedere all’approvvigionamento dei farmaci e di tutte le attrezzature e coordinare lo staff. Senza una profonda consapevolezza della chiamata di Dio non ce l’avrei mai fatta. È il contesto rurale in cui si trova l’ospedale che rende molto difficile per altri medici aggiungersi allo staff. I giovani che arrivano a formarsi alla facoltà di medicina lo fanno aspirando ad una vita migliore, con comodità e tenore di vita che Sanyati non può offrire. Per questo, con l’aiuto essenziale che riceviamo dall’Italia, cerchiamo almeno ad assicurare che venga qualche medico di prima nomina che ha bisogno di un anno di lavoro prima di poter esercitare la professione altrove liberamente. Molti medici che hanno lavorato qua per un periodo hanno trovato enormi difficoltà a vivere lontano dalle famiglie, dagli amici, a non avere accesso a shopping centers e luoghi di intrattenimento, a vivere senza certezza di approvvigionamento neppure di acqua ed elettricità. Continuiamo a pregare per l’arrivo di medici zimbabwani spinti da un senso di vocazione verso i pazienti che vivono qui.

In questi anni l’Ospedale ha ricevuto aiuto dalle chiese battiste italiane e poi negli ultimi cinque anni è giusto un sostegno attraverso il fondo Otto per mille della Chiesa Valdese.  Ci può brevemente dire come sono impiegati questi fondi?

Il dono di lavatrici industriali ci ha consentito di non dover lavare a mano lenzuola e indumenti e di rendere disponibile questo servizio ad altri ospedali. L’ambulanza ha consentito in questi anni il trasporto dei pazienti su strade difficilissime, di farmaci ed altri equipaggiamenti. Poi la disponibilità di incentivi per i medici ci hanno consentito di avere da uno fino a tre medici nazionali in ospedale in questi ultimi anni. I fondi otto per mille della Chiesa Valdese sono anche serviti a sostenere il lavoro delle infermiere che lavorano in aree remotissime nei sei ambulatori collegati con l’Ospedale, unici presidi medici disponibili per una grande parte della popolazione. Essenziale l’aiuto a sostenere gli altissimi costi di carburante per ambulanza e vetture di servizio e ricevere l’assistenza tecnica per le vetture e le attrezzature mediche di cui l’ospedale dispone (sterilizzatore, generatore, ecc.).

 Ritiene ancora essenziale per l’Ospedale l’assistenza italiana e quali priorità indicherebbe per il prossimo anno?

Il supporto che l’Ospedale riceve è assolutamente essenziale perché il presidio possa funzionare. Ancora fra le priorità sono gli incentivi per reperire personale medico, la manutenzione dei macchinari, compreso il sistema ad energia solare che stiamo sperimentando e quello per l’approvvigionamento dell’acqua. Sarebbero necessari per il futuro anche fondi per l’acquisto di farmaci che al momento non sono sufficienti per rispondere al bisogno e di altre attrezzature medicali. 

Foto: Il Dr. Bayler nell’Ospedale di Sanyati