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Tal Abyad come Kobane

Le forze curde dell’Unità di protezione popolare (Ypg) e dell’Unità di Protezione delle donne (Ypj) insieme al Free Syrian Army (Fsa) hanno preso il controllo di Tal Abyad, città siriana al confine con la Turchia considerata strategica per il passaggio di rifornimenti all’Isis, situata in linea diretta diretta a pochi chilometri di Raqqa. Il controllo di quell’area potrebbe cambiare il futuro del conflitto nel nord della Siria. Abbiamo commentato la notizia con Ivan – Grozny – Compasso, giornalista e scrittore, e uno dei pochi a entrare a Kobane nel dicembre scorso, esperienza da cui è nato il libro Kobane dentro, appena pubblicato.

Cosa ne pensa della presa di Tel Abyad?

«Il mio primo commento è di grande soddisfazione: quello che si pensava impossibile è successo. Due province si sono in pratica riunite, e questo cambia lo scenario. L’aspetto più importante della lotta dell’Ypg e Ypj non è solo la contrapposizione all’Isis o la difesa della propria casa, ma il progetto di società che hanno in mente e che dà loro la forza di vincere. La famosa Carta Rojava è sicuramente stata lo spunto e lo stimolo che ha fatto sì che i curdi riuscissero a raccogliere questi risultati. Le milizie curde non sono un esercito: sono meno fornite di strutture, strumenti tecnologici e armi rispetto all’Isis. Ma nonostante questo sono riuscite ad arrivare alla liberazione di Kobane. Questo sta accadendo anche da altre parti».

Tel Abyad è la nuova Kobane, dunque?

«Sono tutte situazioni al limite che vengono raccontate dai media quando c’è una svolta, o critica e drammatica come a Yarmouk, oppure positiva come per Tel Abyad e Kobane. La comunicazione non è il punto forte dei curdi, al contrario di Isis che racconta al mondo ogni passo che fa, utilizzando mezzi tecnologici, video, social network, per raccontare ed esaltare le proprie imprese. Dal punto di vista mediatico è molto complicato reperire le informazioni, e se ci sono solo quelle dell’Isis, per esempio, questo falsa le valutazioni: forse oggi il gruppo terroristico è un po’ sovrastimato».

L’impatto mediatico dell’Isis e la sua reale forza sono sbilanciate?

«Sì, ed è questo che crea difetto nel dibattito in occidente: le notizie non sono mai chiare e certe e ci si fa condizionare da filmati come quelli delle decapitazioni. I curdi hanno avuto delle grandi difficoltà anche perché la Turchia non ha fatto niente in questi mesi per agevolarli. Basti pensare che per un curdo andare da Mesher a Kobane è molto complicato, ma per gli uomini di Isis non lo è affatto: i soldati turchi non glielo impediscono. Stiamo festeggiando cosa è successo a Tel Abyad ma bisogna guardare cosa succede anche nel resto della Siria. Assad comincia a essere preoccupato: se prima i curdi svolgevano un lavoro per lui utile, combattere l’Isis, oggi stanno cominciando a diventare una realtà più grande e, ai suoi occhi, minacciosa. Quello che succede in questi paesi è da seguire tutti i giorni con costanza, perché quotidianamente ci sono novità e cambiamenti».

In che cosa si vede la “società nuova” che hanno in mente i curdi?

«L’aspetto militare, le azioni e contrattacchi sono aspetti importanti, ma secondari. La società nuova significa superare il nazionalismo: il Pkk ha sempre rivendicato il sogno di avere uno stato proprio che riunisca tutti i curdi, ma questo oggi è superato. Ypg e Ypj non pensano a uno stato ma ai diritti per tutti, cosa che in quella parte del mondo non è una novità da poco. La questione delle donne, per esempio, non va mitizzata, ma va sottolineato il fatto che una società che fino a dieci anni fa combinava i matrimoni, dove il debito d’onore era permesso e picchiare una donna non era così drammatico sta cambiando: l’uomo e la donna sono alla pari su tutto, anche sul piano sociale, politico e militare. Da maschio diventa uomo facendo compiere un salto di qualità per se stesso e per la società. Sembrano degli spot, ma sono dei cambiamenti epocali, che fanno combattere i curdi con la prospettiva di costruire qualcosa di nuovo e un futuro diverso».

Ha chiamato il suo libro “Kobane dentro”: perché?

«Perché entrarci è molto complicato, così come uscirne: ma la cosa più significativa è che ti rimane dentro e hai bisogno di raccontarlo. A Kobane ho riscoperto la cooperazione e le municipalizzate nella loro accezione più alta. In una città sotto assedio con falde acquifere avvelenate, senza elettricità, sono riusciti a organizzare scuole autogestite, un forno dove fare il pane, sistemi di distribuzione dell’acqua e la pulizia delle strade. Ho chiesto a un ragazzo curdo perché pulivano le strade: “solo perché siamo in guerra dobbiamo vivere nello sporco?” mi ha risposto. Questo è un ragionamento che fa solo chi pensa al domani».

Copertina: “Map of Akcakale and Tell Abyad” by Voice of America – http://www.voanews.com/content/turkey_approves_possible_further_action_against_syria/1520328.html. Licensed under Public Domain via Wikimedia Commons.