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Vivere nella pluralità

Lo scorso mese di maggio l’Assemblea generale della Chiesa di Scozia ha aperto le porte alla consacrazione di pastori e pastore unite in unioni civili omosessuali. Si tratta di un’ulteriore decisione su un tema che dal 2009 è sempre rimasto fisso nell’agenda sinodale dei presbiteriani scozzesi. In quell’anno, infatti, divenne pastore della Queen’s Cross Church di Aberdeen, Scott Rennie, primo ministro di culto ad aver apertamente dichiarato la propria omosessualità. Ne è seguito un dibattito acceso, fino alla decisione del 2013 che, ribadendo la concezione tradizionale del matrimonio tra un uomo e una donna, lasciava libere le chiese locali di scegliere pastori dichiaratamente omosessuali. Una decisione di compromesso che devolve a livello locale un ampio potere di scelta. Anche la mozione approvata dall’ultima Assemblea generale va nella stessa direzione: le chiese locali saranno libere di derogare dalle normali procedure della chiesa e accettare candidature di pastori/e gay uniti in partnership civili. Come vivono le chiese queste decisioni e questo dibattito che ha cercato e cerca un compromesso tra parti diverse con l’obbiettivo di mantenere la pace e l’unità della chiesa? Ecco tre storie e tre atteggiamenti diversi.

Dissenso senza scissione. L’ultima decisione dell’Assemblea generale sembra aver scosso le Ebridi. In particolare, il Presbiterio – il raggruppamento regionale in cui è suddivisa la chiesa di Scozia – dell’isola di Lewis (http://www.churchofscotland.org.uk/news_and_events/news/recent/lewis_presbytery_issues_statement_following_general_assembly) ha diffuso una “dichiarazione pastorale” nella quale esprime «risolutamente e categoricamente» il disaccordo con l’apertura ai pastori gay conviventi. La decisione assembleare sembra aver provocato «confusione e dolore» tra i fedeli e i pastori dell’isola tanto da rendere necessario un culto organizzato dal Presbiterio per riaffermare «il chiaro insegnamento della Parola di Dio» che, nella prospettiva dei presbiteriani di Lewis, approva esclusivamente l’unione tra un uomo e una donna nell’ambito del matrimonio. Il documento non intende, tuttavia, esprimere soltanto il dissenso, ma anche definirne i limiti. Il Presbiterio di Lewis, infatti, «riconosce e rimane sotto l’autorità dell’Assemblea generale» dalla quale non intende staccarsi. Allo stesso modo, il documento riconosce che nella chiesa di Scozia esiste lo spazio per sostenere la propria posizione e predicare conseguentemente.

Sopravvivere alla scissione. La chiesa di St. Chaterine’s Argyle di Edimburgo (http://www.churchofscotland.org.uk/news_and_events/news/recent/one_year_on_st_catherines_argyll_recovering_from_congregation_departure)si sta pian piano riprendendo dalla scissione che, a causa del dibattito sull’omosessualità, ha provocato nel maggio del 2014 l’abbandono di un cospicuo numero di fedeli. A un anno di distanza la chiesa ha organizzato un culto di ringraziamento «per come il Signore, nella sua fedeltà, ci ha accompagnato in questi difficili mesi», spiega la pastora Jane Howitt. La congregazione è cambiata, delle amicizie si sono infrante, «ma delle nuove sono state fatte – riflette Howitt -. Chi è rimasto ha instaurato delle relazioni più profonde con i propri fratelli e le proprie sorelle. Un vero senso di famiglia ha pervaso la comunità. Dio ha suscitato tra noi dei doni che hanno visto la partecipazione di molte più persone nel culto, nella cura pastorale, nella diaconia». E anche nuovi membri sono arrivati. «Certo – prosegue Howitt – per ricostruire e crescere ci vuole tempo». Qualcuno della comunità ha descritto la situazione di St.Chaterine’s Argyle in termini informatici: la chiesa sta vivendo un riavvio, è stata “re-booted”. «Riavviati per portare frutto – precisa Howitt -. Per questo, come segno di speranza, abbiamo piantato nel cortile della nostra chiesa delle piante di fragole, in attesa di vederle fruttificare insieme a noi».

Contenti delle nuove regole. La Wardie Parish Church di Edimburgo (http://www.churchofscotland.org.uk/news_and_events/news/recent/edinburgh_congregation_votes_for_equality_in_new_vacancy_process) ha annunciato qualche settimana fa che, nella ricerca di un nuovo pastore, accetterà le candidature di persone unite in partnership civili omosessuali. Si tratta della prima congregazione della Chiesa di Scozia ad applicare la “procedura egualitaria” approvata dall’Assemblea generale dello scorso maggio. «La nostra decisione di essere inclusivi si basa sull’invito che l’evangelo di Cristo rivolge ad ogni persona», hanno spiegato i membri del Consiglio di chiesa. Tuttavia, siccome nella Chiesa di Scozia sono le chiese locali a scegliere e ad assumere i propri pastori, nella decisione ha influito anche la consapevolezza di essere dei datori di lavoro: «Abbiamo deciso di non porre dei veti che sui nostri posti di lavoro noi stessi avremmo sicuramente definito discriminanti. In effetti, nelle nostre vite lavorative non ci è permesso per nessun motivo promuovere discriminazioni: gli standard della chiesa cristiana non possono certo essere inferiori».

Tre storie diverse per una questione che rimarrà calda anche l’anno prossimo. Nel 2016 l’Assemblea generale sarà chiamata a decidere se consacrare pastori uniti in matrimoni – quest’anno in causa erano solo le unioni civili – omosessuali. Insomma, come si dice nei telefilm: to be continued.

 

Foto: Un’immagine dall’Assemblea Generale, da http://www.churchofscotland.org.uk