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Geografia umana

In questi giorni mi è capitato di partecipare a un convegno al termine del quale mi sono davvero rammaricato di non avere più vent’anni per potermi dedicare, da studente, a quella che sembra essere la più affascinante di tutte le discipline: la geografia. L’occasione di questo rammarico è stato l’incontro “Sulla cura della casa comune. Riflessioni geografiche attorno all’enciclica ‘Laudato si’”, organizzato dal Dipartimento di Geografia dell’Università di Tor Vergata a Roma e tenutasi presso l’aula Marconi della sede del Consiglio nazionale delle ricerche.

Dalle relazioni dei diversi oratori e oratrici che hanno esaminato l’enciclica di Francesco, ho scoperto molte cose nuove. La prima – la più banale – è che questo papa ai geografi piace tantissimo. Direte: che novità, piace a tutti! Però come può non piacere a un geografo un uomo che viene “quasi dalla fine del mondo”, che nel suo primo discorso si è presentato con un così accattivante riferimento geografico? Anche l’enciclica piace molto. Qualcuno ha letto i titoli di alcuni paragrafi – “Inquinamento e cambiamenti climatici”, “La questione dell’acqua”, “Perdita della biodiversità”, “Deterioramento della qualità della vita umana e degradazione sociale”, “Inequità planetaria” – e ha concluso che si tratta del sommario di un libro di geografia umana. In effetti, quasi tutti gli intervenuti hanno fatto notare che la definizione di ecologia presente nell’enciclica non corrisponde alla definizione scientifica o accademica del termine. Invece, l’ambito della geografia umana – che tratta della relazione dell’essere umano con il territorio e delle modificazioni che ne conseguono a livello ambientale, demografico, sociale -, calza a pennello.

Qualcuno ha fatto notare che nell’enciclica i riferimenti espliciti a luoghi geografici sono rari. Si cita l’Amazzonia e il Congo riguardo all’acqua; vengono citati anche i contributi di diverse Conferenze episcopali così suddivise per continente: 3 europee, 3 asiatiche, 1 africana, 1 nordamericana, 8 latinoamericane, 2 dell’Australia/Oceania. Il baricentro si è dunque spostato dall’Europa, dando maggior spazio e autorità al resto del mondo (con una prevedibile “debolezza” personale del pontefice per i luoghi da cui proviene). Altri intervenuti hanno molto lodato la capacità dell’enciclica di affrontare il rapporto tra universale e particolare. In effetti, la geografia dedica molta attenzione a tutto quello che c’è in mezzo a questi due estremi, in modo speciale alle comunità locali e al loro rapporto specifico, e spesso speciale, con il territorio che abitano. Questa attenzione, secondo i geografi, c’è anche in papa Francesco.

Ci sono state anche delle critiche: il confronto con la scienza manca del tutto; in alcuni casi si citano studi già sorpassati dall’attuale ricerca; quando al numero 76 l’enciclica parla del mistero dell’universo non è esauriente – nel senso che le stelle, oltre che con gli occhi di Dante, citato con il suo “amor che move il sole e le altre stelle”, vanno guardate anche attraverso il telescopio; la definizione di “bene” o “beni comuni” è incerta.

Insomma, la geografia è tutto un mondo da scoprire! Devo però dire che al convegno ero arrivato avendo già appreso qualche piccolissima base della materia. Per esempio, avendo già presente quella nuova geografia demografica del cristianesimo, tracciata qualche anno fa dal Pew Forum, il centro di ricerca statunitense, secondo la quale, oggi, il 66% dei cristiani vive nel sud del mondo. Nel XVI secolo il centro demografico della cristianità si situava nei pressi di Madrid, oggi è da qualche parte attorno a Timbuctu. L’elezione di Francesco, primo papa del sud del mondo, ha reso evidente questa realtà anche nella chiesa cattolica, definendo di conseguenza nuove priorità, tra le quali anche l’attenzione alla giustizia ambientale che nell’emisfero meridionale è questione quotidiana. Se in una chiesa dalla struttura monarchica, le nuove tendenze si evidenziano con l’elezione di un nuovo monarca, in chiese dalle strutture più democratiche le nuove realtà si fanno strada in modo diverso. Prendiamo gli avventisti del 7° giorno: 18 milioni di fedeli raccolti in una chiesa mondiale, suddivisa in 13 macroregioni tutte dipendenti da un’Assemblea generale che si tiene ogni cinque anni. L’ultima si è svolta questo mese di luglio a San Antonio in Texas, e aveva all’ordine del giorno il riconoscimento delle donne pastore. Una proposta che è stata bocciata con 1.381 voti contrari, 977 favorevoli. Una delle ragioni della sconfitta è che la maggior parte dei membri dell’Assemblea proveniva dal sud del mondo, dove l’idea del pastorato femminile non è particolarmente popolare: l’Occidente avventista, che invece sosteneva la proposta, ha dovuto verificare di non avere più i voti per essere maggioranza. Se volete un consiglio, per capire e affrontare il futuro: studiate geografia!

Foto via Pixabay