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Brasile. La «moda evangelicale»: liberazione o mortificazione del corpo femminile?

Con quattro borse piene di vestiti, Isabel ha fatto fruttare il suo pomeriggio nei negozi del quartiere di Brás, San Paolo. «Abito e studio a São Carlos, 250 km da qui. Lì trovo solo la moda tradizionale…».

Dietro l’aria sbarazzina, Isabel è un’evangelicale convinta: «All’università, ho scoperto la Chiesa universale [Chiesa universale del Regno di Dio, chiesa pentecostale nata in Brasile nel 1977, ndr] grazie a un gruppo studentesco. È stata una vera rivelazione e da allora partecipo al culto tutti i giorni e seguo i precetti della Chiesa».

Tra questi c’è il rispetto di un codice sull’abbigliamento: coprire le spalle, non mostrare le ginocchia, non portare vestiti attillati: «La donna cristiana non deve vestirsi in modo provocante. Non deve cercare di sedurre gli uomini né essere vestita come un albero di Natale», spiega Isabel.

Il successo della «moda evangelicale». Nelle vie di Brás ci sono una quindicina di marchi di abbigliamento di ispirazione evangelicale. Tra questi c’è Joyaly, di Joyce Flores. Nel 1999, quando ha aperto, il negozio della stilista trentasettenne era frequentato soprattutto da casalinghe. «Da una decina d’anni, il profilo delle mie clienti è cambiato moltissimo. Vedo arrivare molte ragazze. L’esplosione del numero degli evangelicali mi ha costretta a modificare le mie collezioni».

Il negozio, il cui volume d’affari è aumentato del 150% in 10 anni, propone esclusivamente abiti che seguono i requisiti delle chiese evangelicali.

Un ritorno al passato? Rodolfo Alves Pena, docente all’Università del Parana, specialista in religioni, vede una regressione della società brasiliana: «Con la secolarizzazione all’inizio del XX secolo, le brasiliane si sono progressivamente liberate dai codici di abbigliamento ereditati dalla società patriarcale, abbandonando i vestiti che mascheravano i loro corpi per mettere in risalto la loro femminilità. Ma dagli anni ’90, con la crescente diffusione degli evangelicali, osserviamo un ritorno al passato. Le donne sono di nuovo vincolate da regole che vanno contro la loro libertà individuale».

Il successo delle chiese evangelicali, i cui fedeli sono passati da 22 milioni negli anni 2000 a 55 milioni nel 2015, è legato alla nascita di una nuova classe media. Per Marilena de Paula, coordinatrice della Heinrich Böll Fondation, questa nuova classe sociale, i cui membri sono appena sopra della soglia di povertà, ha dovuto abbandonare il mondo rurale con le sue forme di solidarietà tradizionali, che supplivano alla debolezza dello Stato.

Le religioni evangelicali centrano il discorso sulla vita quotidiana, sui problemi materiali, finanziari, di coppia, sulla violenza e su un’etica della responsabilità individuale, spiega, toccano da vicino i problemi di questa nuova classe. La «moda evangelicale» diventa «una risposta diretta delle chiese alla violenza contro le donne. I pastori lasciano intendere che le donne ne sono responsabili e che possono cambiare le cose vestendosi in modo diverso».

Una mentalità integralista con un forte appoggio mediatico. In una società profondamente maschilista, dove il 58,5% della popolazione (secondo un’inchiesta dell’Istituto di ricerca in economia applicata del Brasile) ritiene che se le donne si comportassero diversamente ci sarebbero meno stupri, e secondo un terzo delle persone le donne che mostrano parti del loro corpo meritano di essere violentate, il femminismo resta appannaggio delle classi sociali superiori.

Così, Isabel considera la «moda evangelicale» un modo di liberare le donne: «Vietare le scollature o le minigonne è un modo per desessualizzare la donna, per non relegarla al ruolo di donna-oggetto».

Questa mentalità è resa tanto più efficace da un proselitismo aggressivo tramite i mass media: con il 10% del mercato editoriale del paese, il 20% del mercato discografico e una presenza su Record, la seconda rete tv più seguita, gli evangelicali hanno imposto i loro valori nella società brasiliana.

Le chiese principali possono anche contare su diverse star delle telenovelas o della televisione convertite, che diffondono il loro messaggio attraverso i social media. Come Andressa Urach, showgirl che dopo aver rischiato di perdere una gamba a causa dell’ennesimo ritocco estetico, ha deciso di cambiare vita. Per Isabel, la conversione di Andressa «mostra che chiunque può cambiare, che il pentimento esiste e che Dio è pronto a perdonare». Un’analisi paradossale che rivela la dicotomia della società brasiliana, che chiede ancora alle donne di scegliere tra estremi stereotipati.

(Fonte: http://cheekmagazine.fr, Adeline Haverland)

Foto “Sao Paulo Business District” di Caio do ValleOpera propria. Con licenza CC BY-SA 3.0 tramite Wikimedia Commons.