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Come la Svizzera sta affrontando la questione dei rifugiati

Poco più di una settimana fa, la rete svizzera KircheNordSüdUntenLinks, che comprende circa 120 teologi cattolici e riformati insieme a persone che ogni giorno lavorano con le chiese sul tema delle migrazioni, ha presentato una “carta della migrazione” nella quale, in base ai principi biblici, si chiede alla Svizzera di aprire i propri confini a tutti. Alcuni giorni prima, invece, il partito elvetico di destra Udc, sigla che indica l’Unione Democratica di Centro, aveva chiesto ai vertici della Confederazione una moratoria sull’asilo per «mettere ordine nel caos attuale», parlando di una vera e propria emergenza migranti che può essere gestita solo con una chiusura nei confronti degli stranieri.

Eppure la Svizzera, paese tradizionalmente considerato accogliente e che si era mostrato tale per esempio con i rifugiati delle guerre balcaniche degli anni Novanta, è praticamente esclusa dal flusso di profughi che interessa l’Unione europea: ad agosto sono state 3.900 le domande d’asilo registrate in Svizzera, un numero quasi uguale a quello di luglio e dei mesi precedenti. Il fatto, secondo lo storico Roberto Roveda, collaboratore del settimanale Ticino7, è che «gli immigrati prima di partire si parlano tra loro, hanno dei contatti con l’Europa e sanno che è più facile muoversi all’interno di un territorio ampio e meno controllato come quello dell’Unione europea rispetto alla Svizzera». Insomma, il caos evocato dall’Udc e dalla Lega dei Ticinesi sembrerebbe non sussistere neppure allargando il campo temporale: nei primi otto mesi dell’anno soltanto 19.700 persone hanno presentato una domanda d’asilo in Svizzera, mentre nell’insieme degli Stati dell’Unione europea, da gennaio a luglio sono state circa 550.000. «Infatti il problema è elettorale, non reale – aggiunge Roveda –. Ad ottobre ci sono le elezioni federali e l’Udc spera di ripete l’exploit che ha avuto negli ultimi anni puntando alla “pancia” dell’elettorato con un tema sempre caldo».

Guarda la mappa interattiva relativa al numero di richiedenti asilo in Europa nei primi otto mesi del 2015

Fonte Eurostat. Elaborazione Marco Magnano

Dibattiti come questo ottengono sempre molto spazio, mentre è molto più raro che i messaggi inclusivi ricevano la stessa attenzione. Per la “Carta della migrazione” il risultato è stato più o meno lo stesso: racconta Roveda che «se n’è parlato per mezza giornata e poi è stata ignorata, esattamente come vengono ignorate le parole del Papa in Italia o le parole di qualsiasi membro di comunità religiosa nel momento in cui parla di questioni di accoglienza e di carità umana. I meccanismi mediatici e mentali svizzeri sono gli stessi che scattano in Italia, con la differenza che la Svizzera riesce a mettere in atto i sistemi di esclusione in maniera più efficace».

A ben vedere, quindi, le dinamiche non sono troppo lontane da quelle italiane: quando si parla di immigrazione declinandola in senso negativo l’accento viene posto sugli stessi due temi che dominano il dibattito a sud delle Alpi: economia e sicurezza, con una netta prevalenza del secondo. «Quello che viene fatto passare – racconta Roveda – è il classico discorso per cui l’immigrato porta disordine, delinquenza, e poi sostanzialmente sottrae lavoro ad altri. Peccato che il diritto d’asilo sia stato creato per i rifugiati e che quindi sia un discorso che non c’entra nulla. Oltretutto in Svizzera non c’è nessuna emergenza di richiedenti asilo né un’emergenza immigrazione». Insomma, nel dibattito pubblico la Confederazione sembra ripiegata su se stessa.

Per contro, è la politica a dare parziali risposte: questa mattina, infatti, il governo confederale ha presentato una versione centralizzata di un piano, già passato nei singoli cantoni e sperimentato a Zurigo, per accelerare le procedure di risposta alle richieste d’asilo in modo da comunicare alle persone la loro posizione entro 140 giorni al massimo, con l’obiettivo dichiarato di scendere sotto i 100 giorni con il passare del tempo e chiudendo nei fatti a ogni richiesta di moratoria da parte dell’Udc. Sono tempi che stridono con quelli a cui ci ha abituato l’Italia, dove l’iter, che prevederebbe secondo la legge una convocazione entro 45 giorni, si trascina fino a raggiungere i 24 mesi senza garantire un diritto certo. Nel nostro paese i numeri sono completamente diversi, ma una differenza simile non può che costringerci a interrogarci sui nostri errori e a provare a emendarli.

«Dalla Svizzera dovremmo mutuare l’efficienza – conclude Roveda – . Quando i richiedenti asilo arrivano in Svizzera sono tutelati, vengono portati in luoghi d’accoglienza che sono molto simili a quelli italiani, ma quelli italiani gestiti bene, quindi non lager o centri di raccolta. Soprattutto, però, dovremmo imparare in termini di tempi di risposta».

Come dichiarato il mese scorso dalla cancelliera tedesca Angela Merkel, considerata in questo momento quasi un simbolo dell’accoglienza europea, «la Svizzera deve aprirsi di più e ha qualcosa da imparare in termini di apertura dall’Unione europea», ma «su come trattare i richiedenti ha molto da insegnare».

Foto “5898 – Bönigen – Brienzersee” by Andrew BossiOwn work. Licensed under CC BY-SA 2.5 via Commons.