mi

La leadership della Germania in Europa sui migranti. Nel bene e nel male

Dopo le aperture della Germania nelle scorse settimane, dopo l’accoglienza “senza limite” delle richieste d’asilo espressa dalla cancelliera Merkel, nei giorni scorsi ha sorpreso l’intensificazione dei controlli al confine e il blocco dei treni provenienti dall’Austria: i quotidiani hanno parlato di una sospensione del trattato di Shengen, che permette la libera circolazione tra gli stati che lo hanno sottoscritto. Anche le autorità austriache hanno intensificato i controlli dei documenti sui propri confini: il trattato prevede che in casi di emergenza gli stati possano eseguire dei controlli straordinari ma temporanei alle frontiere. In particolare il blocco dei treni è cessato, mentre sono rimasti i controlli dei documenti per distinguere i profughi dai migranti economici. Tutto questo mentre oggi l’Ungheria avvia le procedure per l’arresto dei clandestini, introdotte nell’ultimo periodo. Nonostante la prudenza del portavoce della Merkel nei giorni scorsi, il vicecancelliere tedesco Sigmar Gabriel ha annunciato che la Germania si prepara all’arrivo di un milione di profughi. Ne parliamo con l’analista di geopolitica Riccardo Pennisi, collaboratore di Limes e Aspen Institute.

Come si inserisce nel contesto della politica europea la prima apertura della Merkel?

«Sicuramente l’apertura delle scorse settimane è stata un gesto non solo inaspettato, ma anche molto meditato da parte tedesca: va avanti da metà agosto ed è prova della consapevolezza che i flussi migratori non stanno diminuendo come molti pensavano, ma che il numero di rifugiati e di migranti provenienti dal Medio Oriente, dalla Siria, dall’Iraq e dall’Afghanistan diretti verso la Germania è sempre più grande. L’atteggiamento di chiusura, di confusione, di singole soluzioni nazionali, dal punto di vista della Germania non aveva più senso. Dunque un gesto strategicamente meditato sia per risolvere i problemi pratici, sia per offrire un’immagine migliore per la Germania dopo le settimane della crisi greca, ma anche come presa di coscienza che in contesto europeo nessuno voleva prendersi la responsabilità di gestire un flusso di persone tanto grande; la Germania, facendolo, ha preso atto del proprio ruolo di leadership politica e responsabile dell’Unione Europea. Sebbene alcuni stati abbiano seguito la Germania per non sembrare insensibili, come la Francia, dall’altra questo gesto è costato molto ad Angela Merkel perché alcune regioni tedesche, che hanno potere e influenza all’interno del sistema parlamentare tedesco, insieme al partito democristiano bavarese, una delle forze di governo, si sono dimostrati molto contrari a questa apertura».

La Germania, accogliendo questi flussi e gestendo la prima accoglienza, è stata paragonata all’Italia. Il paragone regge?

«Secondo me nella sua apertura delle scorse settimane la Germania ha realizzato che il flusso di rifugiati non è un evento casuale ma ha dimensioni epocali. Da un certo punto di vista ha dato ragione alla posizione dell’Italia che da anni chiede una strategia europea per l’accoglienza e per la gestione di questi flussi, e che sostiene che sia intollerabile e inefficiente che ogni stato venga abbandonato a sé stesso di fronte all’arrivo di masse così grandi. Vediamo cosa succede in Ungheria o Repubblica Ceca: quando gli stati vengono lasciati da soli l’unica previsione che si può fare è pessimistica».

Il ministro Gentioni ha detto che la strada è un diritto d’asilo Europeo. Che ne pensa?

«In questo momento il diritto di asilo europeo è stabilito dalle diverse leggi nazionali e dal regolamento di Dublino, che risale al 1990. L’anno prima, con la caduta del muro di Berlino, i paesi dell’Europa occidentale avevano paura che dall’Europa dell’est arrivassero flussi incontrollabili. Oggi complica molto la vita a paesi come l’Italia, la Grecia e l’Ungheria che non sono le destinazioni finali di questi migranti, ma il primo lembo di terra europea che toccano. Aveva una logica all’epoca, ma oggi, di fronte alle centinaia di migliaia di persone che arrivano in un mese, deve lasciare il posto a un tipo di accoglienza più umana e più efficiente».

Questa crisi renderà l’Europa più forte o la sfalderà: è vero?

«L’affermazione retorica che si sente in queste settimane, che dice che l’Unione Europea si gioca gran parte della propria identità in questo momento, è vera e condivisibile. I flussi migratori non sono un temporale estivo, ma qualcosa a cui abituarsi e che sarà fondamentale per le sfide politiche e per la struttura economica dell’Europa, forse più delle scorse questioni economiche che l’hanno attanagliata. In genere i progressi nell’integrazione europea sono sempre arrivati durante le crisi più grandi, non nei periodi di pace e tranquillità, quindi speriamo in una politica comune sul campo e in un consenso comune. Se l’Unione Europea non sarà in grado di gestire un’emergenza come questa, darà ragione a chi l’accusa di essere inutile e retorica e di non reggere alla prova dei fatti. Cosa che influirà molto sulle istituzioni europee del futuro».

Foto “Refugee march Hungary 2015-09-04 01” by photog_at from Österreich – 20150904 162. Licensed under CC BY 2.0 via Wikimedia Commons.