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In Italia nel 2015 solo una domanda d’asilo su due è stata accettata

Quante volte negli ultimi mesi si sono sentite frasi come «l’Italia è l’unico paese che accoglie tutte le richieste d’asilo» o «basta, non possiamo accoglierli tutti»? Sicuramente molte. Eppure, osservando i numeri presentati martedì nel Rapporto sulla protezione internazionale 2015 in Italia, realizzato da Anci, rete Sprar, Caritas italiana, Cittalia e fondazione Migrantes in collaborazione con l’Unhcr, si scopre una realtà molto diversa.

Parlare di cifre è spesso inappropriato quando si affronta il fenomeno delle migrazioni umane, perché dietro ogni numero si nascondono persone, storie di famiglie divise, enormi rischi e decisioni sofferte, ma consente di abbracciare la dimensione di un “qualcosa” che in troppe occasioni viene espresso soltanto attraverso opinioni e dichiarazioni più o meno schierate.

Da gennaio a settembre di quest’anno sono poco più di 120.000 i migranti arrivati sulle coste italiane attraverso le rotte del Mediterraneo, un dato che ci comunica innanzitutto un incremento di circa 1.000 persone al mese rispetto al 2014 e che scende di circa tre quarti quando si osservano i numeri delle richieste di asilo presentate nella prima metà del 2015: 30.145 secondo i dati forniti da Eurostat.

Soprattutto, però, colpisce un altro dato presente nel rapporto sulla protezione internazionale, ed è quello relativo all’esito delle richieste di protezione internazionale: se nel 2014 circa il 60% dei richiedenti asilo otteneva almeno una forma di protezione internazionale, nel primo semestre del 2015 appena una persona su due ha avuto una risposta positiva.

Proiettando questo dato parziale sulla totalità dell’anno si può osservare un dato stabile rispetto all’anno precedente, quando le richieste di asilo furono quasi 65.000, con un aumento molto consistente rispetto alle 27.000 del 2013, e di conseguenza è probabile che alla fine del 2015 il numero di domande di protezione internazionale accolte dal nostro paese diminuiscano, anche perché rispetto all’anno scorso è aumentata in modo significativo la quota di domande respinte, arrivata al 47% e quindi cresciuta di dieci punti percentuali rispetto al 2014.

L’anno scorso, infatti, erano state 36.330 le domande esaminate, e a quasi una persona su tre era stata riconosciuta una forma di protezione internazionale. In particolare, lo status di rifugiato era stato accordato a quasi 3.700, mentre la protezione sussidiaria era stata data a oltre 8.000 richiedenti. La somma di queste decisioni e di coloro ai quali è stato proposto il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari, oltre 10.000, portava il totale a poco meno di 22.000 persone accolte con una formula di protezione, mentre avevano avuto esito negativo poco meno di 13.500 domande, pari al 37% di quelle esaminate.

Ampliando lo sguardo, i numeri diventano davvero imponenti: i rifugiati che si trovano fuori dal loro paese di origine sono poco meno di 20 milioni, e meno del 10% di questi arriva in Europa. Non sono soltanto la Siria e la Libia, infatti, a costringere le persone a spostamenti e a rischiare la propria vita su rotte sempre meno sicure: a fine 2014 erano 33 le guerre in atto, 13 le situazioni di crisi e 16 le missioni attive sotto il mandato delle Nazioni Unite, e come racconta il rapporto sulla protezione internazionale, «durante il primo semestre del 2015 nessuno di questi scenari è purtroppo andato a concludersi, anzi si è assistito all’acuirsi e al cronicizzarsi di alcune situazioni che determinano sempre più spesso gravi violazioni dei diritti umani e violenze, spingendo migliaia di persone a lasciare il proprio paese». È vero, la Siria rappresenta oggi la più grande crisi umanitaria sin dalla Seconda guerra mondiale, ma non soltanto i conflitti armati a muovere le persone: non vanno dimenticati fenomeni come il land grabbing, sempre più diffuso in Africa e arrivato a interessare poco meno di 600 milioni di ettari di terra, passati sotto il controllo delle multinazionali o dei fondi d’investimento di alcune potenze mondiali e di conseguenza sottratti alla disponibilità dei paesi africani più poveri, oppure i disastri ambientali e la storia, raccontata anche qui, del primo richiedente asilo per motivi climatici.

Sommando tutti i fattori possibili, gli spostamenti forzati nel 2014 riguardano 59,5 milioni di persone, 8 milioni in più del 2013. Di queste, 19,5 sono fuori dal loro paese d’origine e quasi 40 milioni sono sfollati interni. Si tratta del più alto incremento registrato tra un anno e l’altro, oltre che della cifra più elevata dalla seconda guerra mondiale.

Sarebbe sbagliato pensare a questi numeri e a queste storie immaginando uno spostamento di massa verso l’Europa. A livello mondiale, infatti, l’86% dei profughi rimane in regioni in via di sviluppo, e in particolare in tre regioni: l’Asia e l’Oceania, che hanno accolto complessivamente 3,8 milioni di rifugiati, l’Africa sub-sahariana, con 3,7 milioni di persone provenienti soprattutto dalla Somalia, dal Sudan e dal Sud Sudan e le regioni del Medio Oriente e del Nord Africa, che ospitano circa 3 milioni dei rifugiati di tutto il mondo, provenienti soprattutto dalla Siria.

Escludendo la regione delle Americhe, che ha ospitato la quota più bassa di rifugiati, in Europa si sono diretti circa 3 milioni di rifugiati, che rappresentano circa il 20% del totale. Di questi, la metà accede all’Unione europea, mentre appena il 4% di quest’ultima quota arriva in Italia per inoltrare una richiesta di asilo.

Il Rapporto sulla protezione internazionale racconta ancora che «Complessivamente Turchia, Pakistan, Libano e Iran hanno ospitato più di 5,2 milioni, ovvero il 36%, di tutti i rifugiati a livello mondiale. Se a livello globale si tratta di numeri mai registrati prima, è da sottolineare il fatto che questi dati toccano solo in minima parte i paesi europei e in particolare l’Italia». In effetti, il nostro paese viene toccato dal fenomeno delle migrazioni forzate per appena il 4 per 1000 del totale. Di fronte ai milioni di persone che ogni anno abbandonano la loro terra d’origine, il piano europeo di ricollocamento di 120.000 persone approvato questa settimana sembra ben poca cosa.

Foto “A line of Syrian refugees crossing the border of Hungary and Austria on their way to Germany. Hungary, Central Europe, 6 September 2015” by Mstyslav ChernovOwn work. Licensed under CC BY-SA 4.0 via Wikimedia Commons.