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Le scelte ecclesiali e il consenso numerico

Nel suo ultimo editoriale su Riforma (n. 40), Fulvio Ferrario commenta – tra l’altro – un passaggio della Lettera al papa di tredici cardinali preoccupati di eventuali aperture del Sinodo sulla famiglia su temi caldi come la comunione ai risposati e la piena accoglienza degli omosessuali: «Il collasso delle chiese protestanti liberali nell’epoca moderna, accelerato dal loro abbandono di elementi chiave della fede e della pratica cristiana in nome dell’adattamento pastorale, giustifica una grande cautela nelle nostre discussioni sinodali». Da osservatore della vita ecclesiale, di formazione e lunga militanza cattolica (anche se approdato da una ventina di anni a posizioni oltre-cristiane), vorrei aggiungere alle (secondo me) fondate osservazioni del teologo valdese almeno un’altra considerazione: da quale nave giunge l’invito a vedere in abbandono la barca protestante?

Fuor di metafora: il «collasso» in termini di partecipazione attiva alle celebrazioni liturgiche, che sarebbe in atto nelle chiese protestanti, è un fenomeno esclusivo delle chiese più «aperte» alle istanze della Modernità? Non so se si verifichi in ambienti che conosco pochissimo perché proprio non riesco a sostarvi più di dieci minuti (mi riferisco ad alcune chiese evangelicali centrate su figure carismatiche al cui confronto la devozione dei cattolici verso i vescovi e il papa rischia di risultare tiepida), ma so con certezza che si verifica negli ambienti (che conosco meglio e che in pare continuo a frequentare) cattolici.

Dopo trent’anni di egemonia wojtyliana e ratzingeriana (papi non certo lassisti in fatto di etica sessuale) le chiese cattoliche della mia regione (la Sicilia) sono allo stremo. Nonostante la secolarizzazione sia avanzata molto più lentamente che in altre aeree europee industrialmente più ricche (comprese molte aree del Settentrione italiano), perfino dalle nostre parti le statistiche parlano chiaro: diminuiscono le richieste di battesimo, ancora di più di prima comunione, di cresima e di matrimoni religiosi; calano i frequentanti le lezioni di religione cattolica; per non parlare del crollo delle domande di ammissione sia al presbiterato sia nei conventi e nei monasteri. Frequenta abitualmente la messa domenicale non più del 10% della popolazione a cui va aggiunto non più di un altro 20% che la frequenta saltuariamente: il che significa che circa il 70% dei meridionali non partecipa alla messa né abitualmente né saltuariamente. Se questo quadro è, sostanzialmente, attendibile vuol dire che lo «scisma sommerso» di cui ha scritto anni fa il filosofo cattolico Pietro Prini sta diventando secessione palese. E, in questo contesto, un cardinale dovrebbe avere un po’ di remore nel denunziare il «collasso» di consenso delle chiese protestanti «storiche».

Poiché svolgo la professione di filosofo-consulente, non sono abituato a dare consigli (tanto meno se non richiesti); ma, se proprio fossi indotto a darne uno ai pastori della chiesa cattolica, ne darei volentieri…due.

Il primo sarebbe di non valutare le scelte ecclesiali con il metro del possibile consenso numerico. Proprio chi è fedele al vangelo non può preoccuparsi delle conseguenze «promozionali» delle sue decisioni: alcune norme etiche si cambiano solo se traducono meglio l’annunzio del Regno di Dio. Tutto il resto è effetto collaterale secondario.

Il secondo consiglio sarebbe di capire che la crisi degli altri cristiani non deve rallegrare nessun cristiano, ma interrogare tutti quanti: perché la gente non si trova più coinvolta dalla passione evangelica? Perché cresce il numero di quelli che si definiscono atei? E perché – dato ancor più grave – cresce il numero di quelli che sono totalmente estranei e indifferenti all’alternativa fra credere e non-credere?

Insomma ci sarebbero problemucci un po’ più consistenti della discussione sulla comunione ai divorziati o sulla vita sessuale privata degli omo-affettivi…

* www.augustocavadi.com

Foto Pietro Romeo/Riforma