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Carceri minori

Dalla primavera 2015 è in discussione una proposta di legge delega di riforma del codice penale, di procedura penale e dell’ordinamento penitenziario. Tra i vari punti vi è anche quello relativo alla previsione di nuove norme penitenziarie specifiche per i minorenni e per i giovani adulti. Il testo consente la costruzione di un nuovo ordinamento penitenziario minorile. Il testo, approvato alla Camera, attende di essere discusso in Senato. Lunedì scorso è stato presentato il terzo Rapporto sugli Istituti di Pena per Minorenni, “Ragazzi Fuori”, realizzato dall’Associazione Antigone in collaborazione con l’Isfol. L’Osservatorio per i minori di Antigone, che tra gli altri è sostenuto anche con i fondi Otto per Mille della Chiesa Valdese, ha svolto un lungo lavoro di ricerca che fotografa una situazione non allarmante, ma che necessità di riforma, soprattutto per ciò che riguarda l’istruzione e la formazione dentro le mura degli istituti penitenziari. Ne parliamo con Susanna Marietti, responsabile dell’Osservatorio Minori di Antigone

Qual è la situazione degli Istituti Penitenziari minorili?

«Non è così drammatica rispetto a come si potrebbe pensare. Per questo nel nostro ultimo rapporto abbiamo voluto dare quel titolo: il nostro primo rapporto si chiamava “Ragazzi dentro” e ora è arrivato il momento di poter pensare ai ragazzi fuori dalle mura del carcere. Significa puntare sulla minimizzazione della pena detentiva per i minori, e su questo abbiamo un’ottima tradizione di giustizia minorile: basti pensare che su 20 mila ragazzi in esecuzione pena, 450 sono dentro. Da un lato quindi una residualizzazione e dall’altro strutture il più possibile aperte per quei pochi ragazzi che dovranno avere una pena detentiva».

Quindi c’è un trend positivo di diminuzione dei detenuti minori?

«Sì, dal 1988, dall’entrata in vigore del codice di procedura penale minorile, la Giustizia è stata capace di tenere duro, anche da un punto di vista culturale. Conosciamo bene le ondate securitarie o gli allarmi di fronte alla cronaca, e spesso il sistema carcerario per gli adulti ha rincorso gli umori dell’opinione pubblica: il sistema minorile non lo ha fatto. È arrivato il momento di far funzionare gli istituti di pena per minori ancora meglio. C’è un disegno di legge che è passato alla Camera e andrà al Senato, contiene una delega al Governo per riformare l’ordinamento penitenziario generale, e presenta un punto specifico che riguarda i minori. Stiamo ragionando su quale direzione dare a questa riforma, ipotizzando [per esempio] degli istituti per minori piccoli, con 10 – 12 ragazzi, che si moltiplichino nel territorio, che siano più vicini alle famiglie, che possano frequentare la scuola fuori, e così via».

Come fate a “fotografare” un istituto penitenziario?

«L’osservatorio sui minori lavora attraverso delle speciali autorizzazioni concesse dal Ministero della Giustizia per visitare fisicamente gli istituti penitenziari minorili. Abbiamo una trentina di persone autorizzate a entrare nell’istituto, guardare con i propri occhi, parlare con gli operatori o visitare le aule scolastiche: così si capiscono anche i rapporti con i territori e gli enti locali, perché si vedono le attività e chi le organizza. In questo modo riusciamo ad avere una visione abbastanza completa dell’istituto».

Qual è il livello dell’istruzione e della formazione dentro e fuori dagli istituti?

«Purtroppo la tradizione di far uscire i ragazzi per frequentare corsi esterni è poco praticata: anche se c’è un’apertura normativa in questo senso, genericamente non si fa. Quello che accade ora è che la scuola si fa in carcere, così come la formazione professionale. I numeri della riuscita scolastica non sono altissimi, purtroppo ci sono ancora corsi che non sono tenuti da insegnanti ma da volontari, cosa che non dovrebbe accadere. Ci sono delle difficoltà, spesso le permanenze negli istituti sono brevi, non è facile lavorare sui moduli, creare classi omogenee: su questo ci vuole uno sforzo in più. Sulla formazione professionale, così come accade per il sistema degli adulti, il cambiamento è a macchia di leopardo, ed è lasciato alla bravura e alla creatività del singolo direttore, o del singolo operatore, che sa creare dei rapporti virtuosi con il territorio circostante».

Il carcere dovrebbe essere prima di tutto un luogo di rieducazione e di reinserimento nella società: è più facile che lo sia per i minori?

«Purtroppo non è facile avere una fotografia realistica su questo: i dati sulla recidiva sono difficilissimi da ottenere, nessuno li sa. Nel sistema degli adulti abbiamo circa un 70% di recidiva, che è altissimo, ma lo diciamo sulla base di un’unica ricerca condotta dal Ministero anni fa e condotta su un campione molto piccolo di detenuti. La speranza è quella di dire che con i minori sia più facile rieducare. Nel sistema della giustizia minorile sono pensate tante strade alternative e sono molte le possibilità lasciate ai magistrati».

Il carcere minorile è più al riparo dagli umori dell’opinione pubblica. Perché?

«Nel tempo c’è stato un po’ di rumore soprattutto sull’età imputabile, che oggi è valutata dai 14 ai 18 anni. Davanti a fatti di cronaca cruenti commessi da ragazzi, si è parlato di abbassare l’età imputabile, ma non è mai stato fatto perché c’è una buona tradizione culturale nella magistratura minorile e nel legislatore dell’88. Il sistema, poi, è più piccolo: nella giustizia per adulti viene preso come un canale per vincere le elezioni, pensiamo a tutte le campagne politiche passate basate sulla sicurezza, ma nel caso minorile questo non è avvenuto».

Quali sono gli elementi più critici?

«Sicuramente il sistema dell’istruzione e formazione professionale, perché il minore in carcere è una personalità in evoluzione che non possiamo permetterci di perdere e che dobbiamo integrare nella nostra società. Non può arrivare alla fine del periodo di carcerazione senza ritrovarsi in mano da un lato un’educazione che emancipa dalla vita criminale, e dall’altra gli strumenti concreti per farlo».

L’osservatorio minori è sostenuto anche con l’Otto per mille valdese, cosa significa per voi?

«Noi siamo grati alla chiesa valdese che ci ha aiutato in questo percorso (e che ha sostenuto anche l’osservatorio nelle carceri per adulti) perché ha capito quanto era importante che un’associazione di società civile, come Antigone, mettesse il naso nelle carceri che sono istituzioni chiuse e sono di per sé a rischio di lesione dei diritti di chi la abita. Quando c’è controllo sociale, quando la società esterna guarda dentro, questa è una tutela per tutti».

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Tabella del rapporto “Ragazzi Fuori” di Antigone

Anche il gruppo di lavoro su Carceri e Giustizia della Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia collabora con Antigone e lavora, tra le altre cose, sulla cappellania in carcere. Ma a che punto è la cappellania per i minori in carcere? Lo chiediamo a Francesco Sciotto, coordinatore del gruppo di lavoro della Fcei.

«La cappellania cattolica funziona molto bene, l’assistenza pastorale ai detenuti compiuta dalle nostre chiese invece è molto in ritardo. Abbiamo alcune attività sparse sul territorio nazionale, ma non riusciamo ad avere degli interventi continuativi, forse le nostre chiese dovrebbero impegnarsi maggiormente. L’istituto penitenziario minorile è un luogo dove si cerca di dare molto spazio al tema della rieducazione, dell’inclusione sociale: sarebbe un lavoro interessante fare assistenza pastorale anche negli istituti minorili».

Ma la questione religiosa tocca la sensibilità dei ragazzi negli istituti?

«Sì, certamente. Lavorare con i minori è più difficile, non solo nella devianza. In alcune istituzioni delle nostre chiese ci sono degli esperimenti di lavoro su rieducazione e giustizia ripartiva, destinati anche e soprattutto ai minori. Lavorare con gli adolescenti è più complicato, ma la giustizia italiana ha un attenzione maggiore a questi temi: credo che le istituzioni sarebbero contente di accogliere un modo diverso di fare cappellania».

Quali sono le prossime tappe del vostro lavoro?

«Il gruppo di lavoro sulle carceri della Fcei sta collaborando con l’International Prison Chaplains’ Association nell’organizzazione di un convegno molto importante che si terrà a Roma dal 29 febbraio al 3 marzo 2016, sul tema di essere minoranza in carcere. Ovviamente non solo religiosa, ma anche identitaria, etnica, di orientamento sessuale. Ci chiederemo come si vive la situazione di minoranza in un luogo chiuso, in un’istituzione totale, nel continuo dibattito tra identitarismo e ricerca di dialogo».