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Il clima blindato

La Cop 21, la conferenza internazionale sul clima che si apre il 30 novembre a Parigi, si farà. Il governo francese, per bocca del ministro degli esteri Laurent Fabius, ha deciso di non cancellare l’appuntamento decisivo per trovare un accordo globale contro i cambiamenti climatici, anche se il summit internazionale richiamerà nella capitale i maggiori leader del mondo richiedendo, come è immaginabile, uno sforzo di sicurezza reso febbrile dagli ultimi tragici avvenimenti. Il primo ministro francese Manuel Valls ha ribadito che nessun capo di Stato ha chiesto di rinviare l’evento: l’obiettivo è quello di firmare un nuovo patto per il clima che permetta di proseguire il percorso avviato con il Protocollo di Kyoto.

Tutti vogliono esserci, anche per portare un messaggio di sostegno alla Francia. Dunque a Le Bourget, appena fuori Parigi, dal 30 novembre all’11 dicembre si ritroveranno i capi di Stato responsabili dell’equilibrio climatico mondiale, in una location blindata che isolerà i partecipanti e li terrà lontani dalla gente, e non solo simbolicamente. Sarebbe ingenuo pensare che gli attentati di venerdì scorso non influiscano sull’organizzazione di un evento già di per sé mastodontico: a Parigi infatti confluiranno circa 3mila giornalisti, 7mila delegati da 196 Paesi, 10mila osservatori. In tutto, circa 40mila persone saranno in qualche modo ospiti di questa Cop 21, senza tener di conto delle iniziative collaterali. Prima fra tutte la grande marcia per il clima prevista per il 29 novembre, che però forse non si terrà, proprio per l’emergenza sicuritaria in atto. La Cop 21 rischia così di essere un evento, fondamentale per il futuro del pianeta sì, ma del tutto elitario visto che associazioni ambientaliste, ong, chiese, semplici cittadini non potranno presumibilmente nemmeno avvicinarsi alla sede dell’incontro.

La paura dell’Is influenzerà lo svolgimento del summit? Se è vero, come ha dichiarato il presidente Obama, che il cambiamento climatico è un problema di sicurezza nazionale al pari del terrorismo e che i due fenomeni possono essere connessi, perché anche le siccità e le carestie spingono grandi masse di persone a spostarsi creando le condizioni politiche per cambiamenti anche violenti e innescando nazionalismi e guerre, si dovrà riflettere bene sulle fonti energetiche del futuro. Perché è inutile nascondersi che il petrolio è l’altra faccia della vendita di armi, che tanto foraggiano militari e mercenari di tutto il mondo, jiahdisti compresi. Quindi non sarà banale l’attenzione che i leader metteranno su quanto petrolio e gas acquistare, e da chi. L’ammonimento a ridurre l’uso di combustibili fossili sino al loro completo abbandono non viene soltanto dalle agenzie che hanno a cuore l’ambiente, governative e non, ma anche da una politica che non dimentica quanto siano proprio questi i primi a finanziare le guerre del sedicente Califfato e dei suoi omologhi, per non parlare dei paesi che li sostengono. Inquinamento e sicurezza globali, quindi: questioni delicate e d’interesse generale, peccato che vengano affrontate in un bunker.

Foto “Kuwait burn oilfield” by Jonas Jordan, United States Army Corps of Engineers – http://www.hq.usace.army.mil/history/Kuwait_burn_oilfield.jpg Description & related images. Licensed under Public Domain via Commons.