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Armi e religioni, le contraddizioni degli Stati Uniti

La recente strage nella clinica per disabili di San Bernardino in California ha riportato in prima pagina per l’ennesima volta il tema del terrorismo di matrice islamica. A questo aspetto però si deve necessariamente aggiungere la peculiarità tutta statunitense della grande diffusione delle armi, con tutte le ovvie implicazioni del caso.

Furio Colombo, giornalista, scrittore, per molti anni corrispondente dagli States per conto dei principali quotidiani italiani, ha recentemente pubblicato con l’editrice Claudiana una versione aggiornata del suo volume Il Dio d’America. Religione e politica in Usa, lucida disamina di una grande nazione divisa fra spinte libertarie e tensioni conservatrici, grandi capacità solidali e egoistiche chiusure.

Colombo ci offre quindi una analisi che fornisce chiavi di lettura differenti da quelle solitamente proposte dai grandi mezzi di comunicazione, e ci aiuta a comprendere come in realtà il problema “interno” sia assai più rilevante di quanto ci viene raccontato.

San Bernardino, l’ennesimo atto di violenza su suolo americano. Fondamentalismo, ma anche i 15 appelli caduti nel vuoto del presidente Obama per chiedere finalmente una legge che regoli il commercio delle armi. Cosa sta succedendo?

«Non possiamo dimenticare che subito prima della strage di San Bernardino c’è stata quella alla clinica che si occupa di aborti a Colorado Springs, e si è trattato in questo caso di un attentato di matrice cristiana. Dico questo perché il New York Times di oggi ricorda che vi sono stati 1372 attentati di matrice religiosa in suolo americano nel 2015, quasi nessuno di stampo islamico.

Ci viene ancora presentata dai media una narrazione fondata sullo scontro di civiltà fra occidente e mondo islamico: è una narrazione sbagliata, o meglio, funzionale a spostare l’attenzione altrove, mentre in realtà è in corso un fenomeno di tensione estremistica attorno alle religioni, incarnazione di un tipo di panico che attraversa ilo nostro pianeta, sia nelle fasce più ricche che in quelle più povere. L’episodio di San Bernardino si fonda su due problemi: uno è quello del fondamentalismo globale, del volontarismo terroristico che sta spaventando il mondo. L’altro è invece una questione tutta interna statunitense: l’immensa diffusione delle armi, la cui vendita è in diversi Stati di una semplicità estrema, a portata veramente di chiunque. I 15 appelli di Obama al Congresso hanno sortito solo fumate nere, la lobby delle armi è molto molto potente. Ma ripeto, gli atti violenti di matrice religiosa interna sono la stragrande maggioranza, ma questo non si racconta».

A livello globale sembra di essere entrati in un conflitto oramai senza confini di cui si fatica a comprendere sbocco e conseguenze. Se non si tratta di uno scontro di civiltà, cosa abbiamo dunque di fronte?

«Si tratta a mio avviso non di uno scontro di civiltà ma di ricchezze, non sono poveri contro ricchi, i poveri continuano ad esserlo, nessuno continua ad occuparsene, se non con minime attenzione da parte dei paesi più ricchi. Quanto sta avvenendo è, per dirla come Bergoglio, volontà dei costruttori di armi.

Si scontrano due potenze che non sono composte dall’elenco delle nazioni che possiamo attribuire all’uno o all’altro schieramento. Ma nemmeno sono composte da radici storiche comuni o hanno in comune l’appartenenza religiosa. Questi sono pretesti, scuse, per nascondere che in realtà a scontrarsi sono due sistemi di ricchezza, composte da potenze non bene identificate che spostano capitali da una parte all’altra del fronte. Ecco che allora la Russia ha ragione quando racconta dei traffici che la Turchia intrattiene con il cosiddetto Stato Islamico, altra invenzione creata per dare un nome a chi un nome solo non ha, ma ha ragione anche la Turchia quando ribalta le accuse. Entrambe le potenze tradiscono in parte la propria coalizione per favorire la ricchezza propria e quella di chi stanno anche attaccando a fianco dei rispettivi partner. Un grande disordine. Una zona grigia in cui passa di tutto. Le guerre servono a spostare capitali. Il resto è narrazione».

Dopo gli slanci solidali iniziali, il presidente Hollande sta ora faticando a mettere insieme una coalizione coesa nel fornire una risposta di tipo militare a quanto subito sul proprio territorio. Di questi giorni però la notizia dell’avvio dell’impegno tedesco. Pezzo dopo pezzo stiamo assistendo alla composizione di un conflitto dalle proporzioni mondiali?

«Siamo in guerra, ma di nuovo i mezzi di comunicazione non ci aiutano a fare chiarezza. L’intervento tedesco ad esempio sarà estremamente limitato: 1200 uomini, compiti di ricognizione, ispezione, rilevazione ma non militare in senso strettamente operativo. E discorsi analoghi si possono fare per altre nazioni, il cui impegno appare più formale che effettivo. Una delle conseguenze è che non esiste alcuna regia né strategia comune, e questo rappresenta uno spreco enorme di forze e di denaro pubblico. Ogni notte si alzano flotte russe, turche, francesi, statunitensi, tutte a bombardare e monitorare la stessa area, particolarmente limitata. Scelte estranee ad ogni logica di buon senso, per quanto la guerra non sia mai di buon senso. Ma nel momento in cui si sceglie di farla, si faccia con senno, senza questo sperpero enorme di fondi, i cui effetti ricadono su tutti noi contribuenti.

Per questo, lontano quanto sono dal governo di Matteo Renzi, posso dire che sto apprezzando la scelta sue e dell’esecutivo di mostrarsi prudenti nel gettarsi in una guerra dai contorni non chiari. Prima di gettare uomini, armi, mezzi in un conflitto, bisogna avere una strategia, e credo che la scelta sia condivisa da larghissima parte dell’opinione pubblica, non solo italiana, ma europea. Nulla appare certo, se non i morti, ed è a essi che dovremmo dedicare sempre la nostra attenzione».

Quale il ruolo dei cristiani in questo contesto?

«Faccio un esempio. Io ho apprezzato moltissimo l’atteggiamento di quel preside di Rozzano, finito nell’occhio del ciclone per la questione del presepe e dei canti di Natale. Ha dimostrato con il suo atteggiamento di essere vicino ai suoi bambini, di seguirli, di aver compreso un disagio che esisteva. Il grande compito dei cristiani è quello di accogliere il prossimo, gli ultimi, di essere fra loro e con loro, perché nulla nell’insegnamento cristiano favorisce il concetto di straniero.

Foto: Furio Colombo