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Una Fcei più efficiente e sinergica

Al termine della diciassettesima assemblea della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (Fcei), che si è conclusa oggi a Pomezia, è stato eletto anche il nuovo presidente, il pastore battista Luca Maria Negro. Nato a Torino nel 1953, ha svolto il suo ministero pastorale ad Albano Laziale (Roma), Ginevra (Svizzera) e Torino. Tra i suoi incarichi passati, ricordiamo che ha lavorato a Roma come redattore di Com Nuovi Tempi dal 1983 al 1989, è stato direttore del mensile interreligioso Confronti dal 1989 al 1992 e direttore dell’agenzia stampa Nev – Notizie Evangeliche della Fcei dal 1992 al 2001. A Ginevra è stato segretario per le comunicazioni della Conferenza delle chiese europee (Kek) dal 2001 al 2009 e a Torino direttore di Riforma – L’Eco delle Valli Valdesi dal 2010 a oggi. Dal 1995 al 2001, inoltre, è stato segretario esecutivo della Fcei. Con lui parliamo della valutazione dei lavori appena conclusi e delle prospettive future della Federazione.

Che impressioni hai avuto dall’assemblea appena conclusa?

«Senz’altro positive, ho lavorato in Fcei per molti anni, dal 1992 al 2001; mancavo da diverso tempo anche se non ho mai reciso i legami e ho trovato una Federazione che sembra si stia rinnovando a vari livelli. C’è un desiderio di avere una maggiore sinergia tra le chiese che aderiscono alla Fcei ma anche tra i vari servizi e le commissioni, che in passato rischiavano di essere un po’ a compartimenti stagni. Noto anche una grande volontà di snellire la struttura per renderla più efficiente e sempre più incisiva e attuale la nostra testimonianza nella società. Penso agli interventi sull’accoglienza dei rifugiati, con il progetto “Mediterranean Hope”, che include un osservatorio a Lampedusa, la Casa delle culture di Scicli e adesso il progetto innovativo ed ecumenico dei corridoi umanitari che, dopo una gestazione difficile, dovrebbe partire fra pochi giorni con la firma di una convenzione con i ministeri competenti. Penso anche all’impegno sul tema della libertà religiosa: in assemblea abbiamo sentito la testimonianza del gruppo di giuristi che lavora per una legge che superi quella ancora in vigore sui culti ammessi, o altre novità come la collaborazione con “Biblia” per uno studio laico della Bibbia nelle scuole italiane. Non dimentichiamo il lavoro della Commissione Globalizzazione e ambiente con la Carovana per il lavoro, che si muove per sensibilizzare le nostre comunità sulla crisi del lavoro ma anche sull’ecologia, o il gruppo sulle carceri che collabora con l’associazione internazionale dei cappellani delle carceri, insieme al quale organizzerà un convegno a inizio 2016. Tutti segni di grande vitalità che mi rendono felice di tornare a lavorare in Fcei in questo momento di effervescenza».

Che cosa ti auguri per il prossimo futuro?

«Spero che la Fcei possa dare un contributo alla primavera ecumenica che si sta profilando con le aperture del pontificato di papa Francesco, una disponibilità già vista lo scorso marzo con l’appello congiunto delle chiese cristiane contro la violenza sulle donne. La stessa proposta di creare canali umanitari è un passo sul cammino ecumenico, perché è realizzata insieme alla comunità di Sant’Egidio. Naturalmente l’ecumenismo deve essere a 360 gradi, quindi non si esaurisce con la Chiesa cattolica. Credo che per le chiese del protestantesimo storico, che sono una minoranza nel mondo evangelico italiano, sia importante rilanciare il dialogo con il mondo evangelico non federato, con cui sicuramente su molti aspetti teologici e di impegno nella società ci possono essere diversità di vedute; ma dobbiamo anche capire che in quest’area ci sono diverse sensibilità ed è importante quindi coltivare il dialogo e la collaborazione dove è possibile. Mi rallegro quindi che nel nuovo statuto si sia mantenuta la possibilità di avere chiese e o unioni di chiese nel ruolo di osservatori, come gli avventisti e la Federazione delle chiese pentecostali, perché si tratta di una presenza preziosa per la Fcei».

A proposito di prospettive ecumeniche, hai accennato in Assemblea alla possibilità che si costituisca anche in Italia un Consiglio nazionale delle chiese cristiane.

«Si ricomincia a parlarne. In molti paesi europei esistono Consigli nazionali di chiese, a cui anche la Chiesa cattolica partecipa a pieno titolo. Abbiamo in Italia Consigli regionali o locali di chiese cristiane, come a Milano, ma non so se i tempi siano maturi per arrivare anche in Italia a un tavolo permanente di collaborazione delle diverse confessioni: il fatto che si cominci a parlarne però è positivo».

La Fcei non ha registrato nuove adesioni di chiese negli ultimi anni. Immagini della strategie per allargare la base?

«Non ci sono state nuove adesioni, è vero, e una chiesa è uscita dalla Federazione. Credo però che il punto non sia tanto quello di trovare nuove chiese che aderiscono alla Fcei, quanto ampliare la collaborazione attraverso gli attuali membri osservatori ma anche rilanciando il lavoro della Ccers, la Commissione delle chiese evangeliche per i rapporti con lo Stato. Sottolineo l’importanza della sinergia: dobbiamo superare la tendenza a lavorare a compartimenti stagni per cercare di essere presenti e rispondere con flessibilità alle sfide che ci pone il mondo di oggi. La Fcei non è una ong, che si limita a fare interventi di tipo umanitario: al cuore del lavoro della Federazione deve esserci sia questo impegno delle chiese nella società ma al tempo stesso la testimonianza dell’Evangelo, che si esplica con alcune delle nostre attività, come l’istruzione cristiana con la scuola domenicale, il Culto evangelico su Rai 1 e la trasmissione Protestantesimo. Come ricordava il mio predecessore, il pastore Massimo Aquilante, la Federazione non è soltanto luogo di servizi ma anche di tensione verso l’unità. Il movimento ecumenico ha tante anime ma le due fondamentali sono quella teologica, che lavora per l’unità delle chiese, e quella del “cristianesimo pratico”: la vitalità di un organismo ecumenico dipende dalla capacità di combinare in modo equilibrato queste due componenti. Uno dei compiti dei prossimi anni sarà di vigilare che questi due ambiti siano ben presenti».

Proprio in questa prospettiva, il peso – in termini di bilancio e di organizzazione – di un progetto come quello di Mediterranean Hope non rischia di sbilanciare la Federazione?

«Non è la prima volta che la Federazione si trova in una situazione di questo genere: già in occasione del terremoto dell’Irpinia dell’80, il nostro impegno nelle zone colpite superava largamente il bilancio e le forze di quello che al tempo faceva la Fcei. Credo che la Federazione abbia una tradizione di flessibilità che le consente anche di affrontare delle emergenze senza perdere la sua identità e ho fiducia che questo accada anche questa volta con un progetto di queste dimensioni».

Si è detto che l’associazione «31 ottobre» forse chiuderà: che segnale è in un momento così cruciale per la laicità nella scuola?

«La notizia della possibile chiusura di questa associazione, anche se non è direttamente parte della Fcei, non è un bel segnale. Auspico che la Federazione almeno in parte possa farsi carico di questa esigenza».

L’assemblea ha approvato la modifica dello statuto della Federazione. Che cosa cambia?

«Prima c’erano un’Assemblea con oltre cento delegati con diritto di voto, che però si riuniva ogni tre anni, e un organismo intermedio, il Comitato generale. Con il nuovo statuto, quello che era il Comitato generale diventa l’Assemblea, i cui membri sono nominati dagli esecutivi e che si riunisce due volte anno. Sostanzialmente ora gli esecutivi hanno un peso maggiore: se è vero, come hanno obiettato alcuni, che esiste il rischio che questa presenza diventi troppo invadente, il nuovo assetto però evita che una chiesa si disimpegni. Un’assemblea più piccola – 25 membri con diritto di voto – avrà la possibilità di seguire più da vicino i lavori del Consiglio, cioè dell’esecutivo, e inoltre è stata mantenuta un’assemblea triennale, ora chiamata Assise generale, il cui regolamento è stato approvato ma non è parte integrante dello statuto. Qualcuno ha espresso la preoccupazione che la Fcei in questo modo si burocratizzi, ma sta al consiglio lavorare affinché la prossima Assise generale sia un brainstorming collettivo delle nostre chiese: a me piacerebbe che fosse davvero multicolore, un’opportunità di condivisione in cui si possa vedere la presenza di altre chiese e di fratelli e sorelle che vivono nelle nostre comunità e vengono da altri continenti. A questo proposito ricordo che un altro dei programmi della Fcei è “Essere chiesa insieme”, in cui si sperimenta con gli immigrati un’integrazione reciproca. Mi auguro e credo che il Consiglio lavorerà perché questi momenti di confronto diventino un’occasione per stimoli nuovi per la Federazione e di testimonianza dell’evangelismo nel nostro paese».

Foto Pietro Romeo