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La moschea resta in piedi

La moschea di Frejus, in Costa Azzurra, non verrà abbattuta e i fedeli musulmani non perderanno un luogo di culto ottenuto con fatica e con una sottoscrizione che ne ha finanziato in toto la realizzazione.

Venerdì 26 febbraio il tribunale di Draguignan ha rigettato la richiesta di demolizione avanzata dalla Procura a seguito di presunte irregolarità legate ai permessi di costruzione. Avevamo seguito in autunno alcuni momenti della vicenda.

La Francia evita per il momento una brutta figura e ancor più evita di accentuare malumori e divisioni sociali in uno dei periodi più tragici e carichi di tensione della propria storia recente. L’ampia comunità islamica locale era infatti sul piede di guerra, pronta a difendere la moschea da una serie di attacchi di cui faticavano a cogliere il senso, avendo ottenuto concessioni e licenze dall’amministrazione cittadina a partire dal 2011, per iniziativa dell’allora sindaco Élie Brune. Proprio qui sta il punto: alcune autorizzazioni non avrebbero dovuto essere fornite perché l’area fa parte di un settore considerato a rischio inondazione, ma ciò, secondo la sentenza, non poteva essere noto ai rappresentanti dell’associazione El Fath, gestori della nascente struttura. I cui lavori vengono conclusi nell’estate del 2015. Ma da allora solo in questi ultimi giorni i fedeli hanno potuto accedervi a seguito di un’ingiunzione del Consiglio di Stato.

Sì perché nel 2014 primo cittadino diventa David Rachline, rampante ventottenne rappresentante del partito Front National di Marine Le Pen, che fra l’altro è il più giovane senatore della storia della Quinta repubblica francese. E’ proprio lui a dare battaglia alla moschea, secondo i dettami e i cavalli di battaglia della parte politica rappresentata. Avanza la denuncia e non concede l’agibilità alla struttura, 1500 metri quadrati pronti ad accogliere almeno 700 persone. Persiste nel suo disegno anche quando il Consiglio di Stato nello scorso autunno ordina di recedere e multa il Comune di 500 euro per ogni giorno di ritardo nell’apertura. Tanto che a fine gennaio 2016 una nuova sentenza con toni durissimi obbliga il prefetto a sostituirsi al sindaco nel fornire le chiavi dell’edificio, che finalmente ha potuto aprire i battenti.

Ora la sentenza del tribunale di Draguignan mette un ulteriore tassello utile alla soluzione di questo complicato puzzle. I giudici si sono rivelati particolarmente severi nei confronti dell’ex primo cittadino Brune, condannato a 18 mesi e a un ammenda di cento mila euro per concessioni fraudolente di permessi di costruire. Anche l’associazione El Fath dovrà pagare comunque una multa salata, settanta mila euro per aver iniziato in ritardo i lavori di costruzione, quando i permessi erano oramai scaduti.

Un pastrocchio da cui i giudici escono con una soluzione di buon senso, attirando le reazioni di Rachline che ha giudicato troppo lassista la sentenza , promettendo un referendum per fare scegliere agli abitanti di Frejus se demolire o meno la moschea. Una decisione da cui dubitiamo la ragione lo farà recedere, per cui spetta alla società civile isolare le derive estremiste dei rappresentanti del Front National, la cui popolarità in realtà pare crescere di fronte alle emergenze di questi anni e alle risposte poco convincenti di Sarkozy prima e di Hollande oggi.

Foto Stefano Stranges. Esterno moschea Frejus