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Il senso del «sì» nel Diario di Dag Hammarskjöld

Un singolare destino sembra toccare al breve testo di Karlmann Beyschlag su Dag Hammarskjöld*, pubblicato originariamente all’interno di una raccolta di ritratti (Grandi mistici. Dal 300 al 1900, a cura di G. Ruhbach e J. Sudbrack, EDB, 2003), ma risalente in stesura originale tedesca al 1984. In quanto breve monografia su un personaggio di pubblica notorietà, oggi, a distanza di oltre 30 anni dalla prima edizione, proietta sulla nostra epoca interrogativi non banali sul modo di vivere la fede cristiana.

Hammarskjöld era uomo pubblico di elevatissima statura: economista, poi diplomatico, viceministro in Svezia, fu segretario generale delle Nazioni Unite dal 1953 al 18 settembre 1961, quando l’aereo su cui viaggiava sorvolava la Rhodesia – attuale Zambia – e precipitò in circostanze mai chiarite. Era in corso, all’epoca, il conflitto che opponeva il Congo all’allora regione indipendentista del Katanga – nel dicembre 2014 fra l’altro la Svezia ha chiesto ufficialmente all’Assemblea delle Nazioni Unite che l’inchiesta in merito venga riaperta. Ma Hammarskjöld era anche uomo di fede, benché la sua fosse una fede vissuta molto personalmente e indipendentemente dall’appartenenza formale a qualunque confessione cristiana.

Proprio questo è l’elemento che interessa Beyschlag, che parte da una posizione critica; non si tratta – dice – di farne «un nuovo santo protestante», e comunque la sua era una «distanza incolmabile dalla fede della Chiesa» (pp. 7-8). L’inquietudine interiore sembra coincidere con una solitudine dell’anima che sarebbe irredimibile, se non intervenisse l’esperienza di fede così profondamente vissuta e fatta coincidere con l’impegno per la società e per il mondo, da un lato; e, dall’altro lato, la riflessione personale, affidata alle pagine di quel diario che gettò nello sconcerto i primi commentatori.

L’edizione italiana di Vägmärken a cui fa riferimento l’autore è quella pubblicata da Rizzoli nel 1966 e 1967 con il titolo Linea della vita, l’unica disponibile nella nostra lingua al momento della stesura del testo di Beyschlag. Tuttavia nel 1992 le edizioni Qiqajon della Comunità monastica di Bose ne approntarono una più moderna con il titolo Tracce di cammino (a cura di Guido Dotti, con postfazione di Oscar L. Scalfaro) che forse poteva essere menzionata. L’editrice Claudiana ha pubblicato invece, nel 2005, una monografia sullo statista a firma di Franco Giampiccoli.

La solitudine, dunque: poteva essere una disposizione soggettiva dell’animo, soprattutto nel tempo giovanile; poi fu anche la solitudine dell’uomo giusto, tutto dedito alla causa del prossimo seguendo la propria vocazione politica. La fine drammatica della sua esistenza suggella proprio questa dimensione, che ha rischiato di essere definita quasi «cristica». Invece Hammarskjöld ragiona di teologia e lo fa lucidamente: certo, non da teologo, né tantomeno da esegeta; probabilmente con qualche ingenuità (mancanza di distanza ermeneutica, la definisce l’autore) che però fa tutt’uno con la spontaneità e la sincerità della narrazione di sé.

In positivo, per Beyschlag, questo atteggiamento permette, con un certo coraggio, di annoverare il segretario dell’Onu nella schiera dei mistici. Hammarskjöld legge la Bibbia, la cita: fa spicco il suo pronunciamento per il «sì», che annota nel diario («Per quello che è stato – grazie! Per quello che sarà – sì!»), derivato dal testo di II Corinzi 1, 19. È questo, evidentemente, un sì per quel che è stato e sarà in Cristo. Il problema, scrive acutamente Beyschlag, è «un problema di comunione dell’uomo alla fine dell’epoca cristiana, è la questione sulla salvezza del singolo isolato, della sua pericolosa solitudine» (p. 75): ecco il rischio che oggi corrono tantissimi. Il ripiegamento su una fede personale, dal 1984 quando Beyschlag scrive queste note, si è ampiamente diffuso, in proporzione inversa rispetto alla frequentazione delle chiese. Il problema investe tanto la chiesa cattolica quanto le chiese del protestantesimo «storico». Hammarskjöld trovò una propria strada che gli consentì di non tenere per sé le riflessioni che lo animavano. Ma la sua prassi di uomo pubblico non avrebbe avuto un riscontro «a posteriori» se non fosse per il ritrovamento del diario nella sua abitazione: così il suo percorso è stato ricostruito; quello di tanti, oggi, quelli a cui fanno riferimento i più recenti studi sociologici, è tutto da scoprire: le chiese devono dunque attivarsi per andare incontro a queste persone che se ne sentono discoste.

K. Beyschlag, Dag Hammarskjöld, Bologna, EDB, 2016, pp. 80, euro 8,50.