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La capitolazione climatica dell’Europa

In chiusura della Cop21, la Conferenza globale sul clima, anche i più entusiasti fra i commentatori avevano dovuto riconoscere che gli sforzi richiesti agli Stati nazionali apparivano insufficienti, con una previsione per il pianeta di un riscaldamento superiore a 3 gradi, assai più dei 2 gradi posti come soglia limite per evitare, forse, stravolgimenti climatici in un futuro sempre più prossimo. Ma l’essenziale non stava in queste cose, ci era stato assicurato. L’importante era l’impegno preso nel breve periodo, brevissimo anzi, al massimo entro il 2020, 2023 a voler star larghi, di mettere in atto piani e strategie per avviare il meccanismo virtuoso che ci avrebbe portati alla salvezza definitiva. Perché i toni usati da tutti i leader mondiale avevano proprio un che di apocalittico, di ultima occasione prima della catastrofe. «Finalmente hanno preso coscienza del problema» hanno pensato in molti.

Ma ecco il patatrac.

In una comunicazione intitolata “Il cammino dopo Parigi” la Commissione europea con un colpo di scopa spazza via il bel racconto che ci era stato proposto. Nel testo si stima che l’obiettivo che si è prefissata l’Europa di una riduzione dei gas serra del 40% entro il 2030 sia largamente sufficiente e in linea con le ambizioni a medio termine emerse nella conferenza parigina. Nessun riferimento al 2020. Il rinvio è già scattato, come dopo Kyoto, Copenaghen e molte altre occasioni. Passati i giorni della frenesia, e più che altro passati i giorni degli occhi del mondo puntati addosso, l’emergenza climatica improvvisamente come era arrivata è scomparsa dalle prime pagine dei giornali, dai programmi di approfondimento ed evidentemente dalle priorità della classe politica. Per la Commissione rivedere al rialzo le promesse fissate non fa semplicemente parte delle opzioni possibili.

Eppure i dati scientifici sono chiari, sarebbero chiari: gli esseri umani sono invitati a decarbonizzare il prima possibile le proprie catene economiche. Ma il ritmo imposto da Bruxelles appare ampiamente insufficiente, servirebbe poi correre dal 2030 al 2050 per giungere all’obiettivo dell’80% in meno di emissioni. E chi può garantire che nel 2030 le scelte saranno effettivamente più stringenti? I precedenti come abbiamo visto non lasciano certo prevedere improvvisi cambi di rotta della classe politica, piegata ai voleri della macro economia e della finanza globale. Sono molte le Organizzazioni non governative e gli esperti a chiedere per l’Europa un impegno di riduzione entro il 2030 di almeno il 55% dei gas serra, ben oltre il 40 considerato ampiamente sufficiente dalla Commissione.

L’affascinante storytelling della Cop21pare non funzionare più ad appena tre mesi dalla sua conclusione fra lacrime di commosso successo e grandi pacche sulle spalle.

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