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Un no “scientifico” alla Brexit

Il referendum popolare sull’uscita del Regno Unito dall’Unione europea è stato fissato per il 23 giugno: nel bel mezzo del festival musicale di Glastonbury e degli europei di calcio. Già, perché il vero obbiettivo di David Cameron non è rinunciare alla membership, ma giocare sui tavoli di Bruxelles lo scenario epocale della fuoriuscita, negoziare condizioni più favorevoli (http://www.tpi.it/mondo/regno-unito/condizioni-accordo-regno-unito-rimanere-europa) e quindi sottoporle al plebiscito della sua opinione pubblica nazionale. Un mero calcolo che divide gli stessi conservatori: tra chi approva la strategia del governo in quanto tale e chi, invece, come il sindaco di Londra Boris Johnson, auspica che i sudditi di Sua maestà colgano l’occasione e optino per lo strappo.

E pensare che l’ingresso in Europa il Regno Unito se l’era dovuto sudare. Inizialmente scettica sul progetto continentale – tanto da promuovere l’Efta, una zona di libero scambio alternativa alla Comunità economica europea (Cee) – Londra dovette ricredersi di fronte ai successi del mercato unico. Fu proprio un conservatore, Harold Macmillan, a presentare la prima domanda di adesione alla Cee: era il 1961. Ma la Francia di De Gaulle disse «no» al «cavallo di Troia degli americani» e tutto rimase bloccato fino al 1973 (l’anno prima, sempre tramite referendum, i francesi avevano approvato l’ingresso dei cugini d’oltre Manica).

Purtroppo, in questi mesi, le strategie e i trascorsi storici faticano a trovare spazio in un dibattito certamente acceso, ma che pare abbandonato ai moti del cuore. Almeno fino a qualche giorno fa, quando dal brusio confuso della politica si è alzata, razionale, una voce altra: quella di Stephen Hawking, il più celebre astrofisico del mondo. In una lettera pubblica affidata al quotidiano «The Times», Hawking e altri 150 studiosi della Royal Society (la prestigiosa accademica britannica delle scienze) hanno spiegato perché, dal punto di vista del sapere, la fuoriuscita del loro paese dall’Ue sarebbe una catastrofe.

«In primo luogo, un aumento dei finanziamenti ha alzato notevolmente il livello della scienza europea nel suo complesso e del Regno Unito in particolare perché deteniamo un vantaggio competitivo; in secondo luogo molti dei migliori ricercatori che noi reclutiamo provengono dall’Europa continentale, inclusi i più giovani che hanno ottenuto sovvenzioni Ue e che per questo hanno scelto di venire qui; in conclusione, essere in grado di attrarre e finanziare gli europei di maggior talento assicura il futuro della scienza britannica e incoraggia i migliori a venire qui».

La lettera dei cervelli britannici indica uno specifico esempio da non seguire: la Svizzera, un non-membro che da quando ha deciso di limitare la libera circolazione dei lavoratori provenienti dai ventotto è alla «disperata ricerca» di una strategia per attrarre nuovi talenti. «Se lasciando l’Unione europea il Regno Unito limiterà la libertà di movimento degli scienziati, sarà un disastro per la scienza e le università del paese. Gli investimenti nella ricerca sono importanti per garantire una prosperità e una sicurezza a lungo termine: alla pari degli investimenti nell’infrastruttura, nell’agricoltura o nella produzione; la libera circolazione dei ricercatori è di vitale importanza per la scienza come il libero scambio lo è per l’economia di mercato».

Come si evince, le motivazioni di Hawking e dei compagni cofirmatari sono matematiche: di testa. Tuttavia hanno emozionato, perché per enunciare l’insensatezza (economica!) del filo spinato con cui stiamo ridisegnando i confini europei, partono da una risorsa umana che logiche economicistiche vorrebbero secondaria: la conoscenza.

Condannato all’immobilità da una malattia degenerativa e universalmente riconosciuto come il più grande scienziato vivente, Stephen Hawking è divenuto l’icona dell’intelligenza umana che trascende le pene del corpo. La sua presa di posizione in favore della permanenza in Europa è quindi al momento la migliore argomentazione a disposizione del fronte «europeista». Un aggettivo che oltre manica porta da sempre le virgolette.