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La mia parrocchia è il mondo!

Dal 5 al 7 aprile si sono ritrovati a Roma gli esponenti di diverse istituzioni metodiste internazionali per l’inaugurazione dell’Ufficio ecumenico metodista. Tra questi, il vescovo brasiliano Paulo de Tarso Oliveira Lockman, dal 2011 presidente del Consiglio metodista mondiale (Wmc). Consacrato pastore dal 1972, Lockmann è stato eletto vescovo della regione di Rio de Janeiro nel 1987, e dal 1988 al 2001 è stato presidente della Chiesa metodista in Brasile. A Lockmann abbiamo chiesto di spiegarci qualcosa di più sulla realtà del metodismo mondiale.

Vescovo Lockmann, che cos’è il Consiglio metodista mondiale (Wmc)?

«Il Wmc è la casa che raccoglie la grande famiglia del metodismo mondiale, a partire dai luoghi in cui il metodismo è nato, come la Gran Bretagna e l’America del nord, fino a quelli in cui cresce di più, come l’America latina, l’Africa ma anche alcuni paesi dell’Asia. Oggi nel mondo siamo una famiglia numerosa che conta circa 84 milioni di credenti.»

In quali campi si sviluppa principalmente l’attività del Wmc?

«Gli ambiti principali sono essenzialmente tre: l’istruzione, il lavoro sociale e l’evangelizzazione. L’istruzione è un campo in cui i metodisti in tutto il mondo sono molto impegnati, che contraddistingue il movimento fin dai suoi primissimi tempi con la costituzione nel 1748 della Kingswood School, la prima scuola metodista, fondata da John Wesley, e ancor oggi in attività. Uno strumento importante di questo lavoro è costituito dall’Associazione internazionale delle scuole, colleges e università metodiste che riunisce 800 istituti in 80 paesi diversi. Il lavoro sociale viene sviluppato soprattutto attraverso il sostegno a progetti promossi dalle chiese locali in ambiti quali l’infanzia, la violenza contro le donne, la fame nel mondo. Per quel che riguarda l’evangelizzazione, il WMC organizza con la Emory university di Alanta (USA), seminari itineranti per la formazione dei cosiddetti “laici” e “laiche”, il cui lavoro da sempre costituisce la spina dorsale del movimento metodista. In conclusione, penso si possa dire con ragione che il WMC riflette ancora oggi il motto di John Wesley “la mia parrocchia è il mondo”. Un motto che collega la nostra missione alla nostra ecclesiologia, e viceversa. E che sempre ci ricorda come la chiesa non inizi e non finisca nella chiesa locale; ogni chiesa metodista si sente parte della comunità più ampia in cui è situata, nel quartiere, nella città, nel Paese in cui vive e testimonia.»

Oltre 80 milioni di persone in tutto il mondo, appartenenti a paesi e culture molto diverse le une dalle altre. Come si può tenere unita una famiglia così grande e diversificata?

«I metodisti nel mondo sono un popolo i cui membri possono essere diversissimi tra loro. Una delle differenze più evidenti ed immediate è il modo di celebrare il culto. Già nel Settecento John Wesley, il fondatore del movimento metodista, aveva affermato in uno dei 25 articoli che stanno alla base della teologia metodista, che il modo di celebrare il culto domenicale poteva variare a seconda del luogo, dell’epoca e anche dell’età dei partecipanti! Oggi il modo di celebrare in Inghilterra, in Nigeria o in Brasile è davvero diverso. Nel sud del mondo il culto dura 3 o 4 ore, ed è caratterizzato da una vivace spiritualità con gente che canta, suona e danza. Ci sono poi altre diversità, legate alle strutture ecclesiastiche: io sono un vescovo perché appartengo a una chiesa metodista episcopale. Altre chiese metodiste, come quella di Gran Bretagna, non hanno vescovi. Ci sono chiese nazionali autonome accanto ad altre, come la United Methodist Church che è invece una chiesa globale presente nei diversi continenti. Queste differenze caratterizzano da sempre la famiglia metodista e devo dire non sono motivo di tensioni o di divisione. Tensioni invece si riscontrano sulle questioni legate alla sessualità, come del resto in molte altre chiese e confessioni. Il tema dell’omosessualità, per esempio, era all’ordine del giorno della Conferenza generale della United Methodist Church, ma non si è potuti giungere a nessuna conclusione anche per la forte rappresentanza africana, prevalentemente contraria ad aperture verso l’omosessualità. Vorrei però suggerire che oltre a questioni teologiche giocano un ruolo non indifferente i diversi contesti culturali.»

Lei è qui a Roma per l’inaugurazione dell’Ufficio ecumenico metodista. Qual è il rapporto del Wmc con l’ecumenismo?

«Il movimento metodista ha sempre sentito una forte vocazione ecumenica. Nel mio lavoro in Brasile la collaborazione tra persone di diverse confessioni è una realtà quotidiana che riguarda cattolici, metodisti, presbiteriani; mentre invece è più difficile nei confronti dei pentecostali. La costituzione di questo ufficio a Roma è un passo in più di questa vocazione ecumenica e un impegno che coinvolge il Wmc insieme ad altre istituzioni del mondo metodista globale. Un ufficio a Roma ci permetterà di avere una relazione più approfondita con la realtà della chiesa cattolica romana, ma non solo. L’ufficio vuole essere un luogo di incontro tra cristiani di diverse tradizioni che giungono a Roma da diverse parti del mondo, e quindi anche tra metodisti che, provenendo magari da continenti diversi, avranno la possibilità di incontrarsi proprio qui!»

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