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La schiena dritta

Pesa più il petrolio o la vita di migliaia di persone? A meno di tre mesi dalla visita in Italia del presidente Hassan Rouhani, la prima in occidente dall’abolizione delle sanzioni contro l’Iran, tocca oggi al presidente del Consiglio Matteo Renzi guidare la folta delegazione di politici e soprattutto imprenditori nostrani che sbarca a Teheran.

Anche in questo caso si tratta della prima volta per un leader occidentale a seguito dell’adesione della grande nazione mediorientale al programma di dismissione nucleare. La fretta e l’estrema riverenza mostrata – ricordiamo la figuraccia mondiale per le statue coperte nei musei Capitolini, ancora oggi senza un “colpevole” ufficiale – indicano quanto il nostro governo auspichi di poter tornare in fretta ad essere fra i principali, se non il principale, partner economico dell’Iran.

Che è però anche il paese con il drammatico primato di esecuzioni capitali eseguite: 977 solo nel 2015, e fra questi 4 minorenni, in violazione totale di qualsiasi trattato internazionale, mentre sarebbero già 60 quest’anno. Numeri spaventosi, accompagnati dalle incarcerazioni facili e da un generale clima di repressione di ogni voce fuori dal coro orchestrato e diretto dal regime.

Molte associazioni e liberi cittadini chiedono a Matteo Renzi di non tacere proprio questo lato della storia, della narrazione come amerebbe dire il nostro premier. Sono Amnesty International e Nessuno tocchi Caino in particolare a chiedere una parola, un gesto in questo senso, perché non è possibile chiudere gli occhi di fronte ad una simile carneficina. O meglio non sarebbe, perché a gennaio, al tempo degli scatoloni di cartone sui nudi marmorei, il tema dei diritti umani non entrò per nulla in agenda, e nemmeno questa pare essere la volta buona.

C’è da tornare a fare affari, tanti affari, almeno come nel 2010 quando il nostro export verso il regime degli ayatollah valeva 2,5 miliardi di euro – oggi siamo poco oltre la metà di quella cifra – e il giro complessivo di scambi era pari a 7 miliardi di euro.

Dall’Eni – che qui sbarcò nel 1957 ai tempi di Enrico Mattei e dello Scià di Persia, inaugurando la lunga stagione di attenzione, simpatia, appoggio da parte della Democrazia Cristiana nei confronti del mondo islamico, in un sottile gioco di equilibri e bilanciamenti nello strategico scacchiere mediterraneo (si ricordi ad esempio il cosiddetto “lodo Moro” che consentiva una sorta di tacita immunità sui traffici palestinesi di armi in Italia in cambio di una promessa di non compiere attentati nel nostro paese) – fino ad una folta schiera di industriali interessatissimi alla modernizzazione che l’Iran sta avviando, saranno molti gli incontri in cui si parlerà di soldi. Già ai primi di febbraio giunsero a Teheran il ministro dei Trasporti Graziano Delrio con la ministra dello Sviluppo economico Federica Guidi e quello dell’Agricoltura Maurizio Martina per dare immediato impulso ai patti siglati a Roma a fine gennaio. Altri segnali di una determinata attenzione al portafoglio in gioco.

Gianni Ruffini, presidente di Amnesty Italia, ha scritto una lettera al presidente Renzi auspicando che «il governo italiano colga l’occasione per farsi promotore di un miglioramento della situazione dei diritti umani in Iran, nel contesto delle relazioni bilaterali tra i due paesi» e ricordando come «molte sentenze vengano emesse a seguito di processi non in linea con gli standard internazionali sul giusto processo». Sono soprattutto i reati legati al traffico di droga ad esser puniti con l’impiccagione, non di rado eseguita in pubblico, a monito per la popolazione invitata ad assistere allo spettacolo.

Nell’immediata vigilia del viaggio, Nessuno tocchi Caino ha lanciato un appello simile, firmato da varie personalità del mondo della cultura fra cui Roberto Saviano, Moni Ovadia, Dacia Maraini, Furio Colombo: si ricordano al premier i misfatti della repubblica islamica in tema di diritti umani e si chiude la missiva con un’ esortazione: «Siamo convinti che affermare i propri valori nel dialogo con chi ne ha di opposti sia non solo giusto ma anche conveniente per il rispetto massimo e una più alta considerazione che sempre guadagna chi si dimostri essere esigente, coerente e forte nelle proprie convinzioni, rispetto a chi invece mostri di essere indulgente, indifferente e impotente».

Sarebbe segnale positivo se queste delegazioni potessero contare fra i propri effettivi i rappresentanti di organizzazioni non governative che da anni si battono per il rispetto dei diritti e della dignità delle persone. Ma evidentemente l’imbarazzo della verità sarebbe troppo forte rispetto alla affettata cortesia della pacca sulla spalla.

Rimane un ultimo appiglio di speranza: che i giornalisti nostrani al seguito abbiano la schiena dritta e nelle conferenze stampa chiedano conto di questi temi ai prestigiosi interlocutori, e non si limitino a suon di tweet a svolgere il meschino ruolo di grancassa di chi comanda. C’è da essere scettici anche su questo aspetto, se ricordiamo lo stupore con cui i media raccontarono dell’unica domanda degna di questo nome posta a Rouhani a Roma dal giornalista Adam Smulevich, firma di “Pagine Ebraiche”, il giornale dell’Unione delle comunità ebraiche italiane, mentre gli inviati dei grandi quotidiani nazionali ben si guardavano da simili audacie. Ah, in quell’occasione Rouhani abbandonò la sala adirato, segnale che un giornalista aveva fatto il proprio mestiere.

Sommessamente invitiamo il nostro primo ministro a prestare attenzione alla recentissima e storica visita di Barack Obama a Cuba. Fra strette di mano e accordi vari a spiccare è stato il rilevante incontro con i dissidenti dell’isola caraibica, di cui il presidente statunitense ha lodato l’incredibile coraggio pagato a prezzo della libertà. E negli incontri con la stampa quest’ultima si è dimostrata molto più interessata alle questioni umanitarie rispetto a quelle monetarie. Perché in certe occasioni pecunia non olet, ma un gesto, una parola, possono cambiare molte cose.