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I cristiani palestinesi perdono la loro terra

Il 6 aprile scorso è iniziata la fase finale di costruzione del muro di separazione nella valle di Cremisan, vicino a Betlemme nella Palestina occupata. Il Consiglio ecumenico delle Chiese, attraverso il Programma di accompagnamento ecumenico in Palestina e Israele (Eappi), è stato a fianco della locale comunità palestinese, formata da cristiani e musulmani, in tutta la loro battaglia legale per fermare la costruzione.

Esattamente un anno fa, agli inizi si aprile 2015, la Corte Suprema d’Israele aveva emesso una sentenza – presentata come definitiva dopo un contenzioso duranto quasi otto anni – con cui si bocciava il percorso del Muro proposta da esercito e Ministero della difesa israeliani. Ma il 7 luglio 2015 un pronunciamento dello stesso supremo organo giudiziario dello Stato d’Israele dà il via libera alla costruzione del «Muro di separazione» tra Stato ebraico e Palestina nel tratto che attraversa la valle di Cremisan.

Katherine, accompagnatrice ecumenica britannica attualmente in servizio per l’Eappi a Betlemme, ricorda che alcuni giorni dopo la decisione del tribunale, l’esercito israeliano è arrivato senza preavviso a sradicare gli ulivi millenari. Sono venuti mentre tra gli ulivi erano in corso le preghiere ecumeniche quotidiane, organizzate dalle chiese locali per protestare contro la confisca illegale delle terre e per pregare per la protezione degli alberi.

«Normalmente quando diciamo il Padre Nostro insieme in inglese e in arabo, quelli che lo recitano in inglese terminano prima. Ma quel giorno, poiché abbiamo pregato mentre i bulldozer sradicavano gli ulivi che erano più antichi rispetto al tempo di Cristo, nessuno è riuscito a finire le parole della preghiera: eravamo vinti dalla tristezza», ha affermato un pastore metodista presente in quel momento.

Nei mesi di agosto e settembre 2015, per richiamare l’attenzione sulla confisca dei terreni i proprietari hanno svolto regolari proteste pacifiche e le chiese locali hanno svolto le loro funzioni in quel sito. Ma dopo che i militari israeliani hanno usato gas lacrimogeni per disperdere coloro che erano radunati lì, gli organizzatori hanno pensato di non continuare più. «Senza quella protesta» dice Katherine, «l’interesse di tutto il mondo è cominciato a scemare».

Il 30 gennaio 2016 un tribunale israeliano ha stabilito che la costruzione poteva continuare per motivi di sicurezza, contraddicendo il parere consultivo della Corte Internazionale di Giustizia del 2004 che dichiarava che la costruzione del muro su suolo palestinese violava l’articolo 53 della Quarta Convenzione di Ginevra e non poteva essere giustificato per motivi di sicurezza.

«Nel corso di febbraio, marzo e aprile abbiamo visto la costruzione del muro accadere davanti ai nostri occhi», continua Katherine. «Ma nulla mi aveva preparato all’impatto di vedere quelle prime lastre di cemento entrare e dividere la valle in due. Solo quando ti trovi sotto di loro, sperimenti la paura e la separazione che crea il muro».

Issa, un cristiano palestinese e uno dei proprietari degli ulivi distrutti, ha confidato a Katherine la sua preoccupazione riguardo al fatto che l’estensione del muro di separazione accelererà la già crescente emigrazione dei cristiani dalla Terra Santa. «Noi siamo le radici viventi, ma presto non ci sarà più alcun cristiano nel luogo di nascita di Cristo», ha detto.

Il Patriarcato latino di Gerusalemme ha pubblicamente espresso la sua «profonda delusione» per la prosecuzione dei lavori di costruzione, definendola «una violenta offesa contro il processo di pace».

Il Programma di accompagnamento ecumenico del Cec in Palestina e Israele sta invitando i cristiani di tutto il mondo a scrivere ai loro rappresentanti eletti e ai ministri degli esteri chiedendo loro di fare pressione sul governo di Israele affinché:

– fermi immediatamente la costruzione del muro di separazione nella Valle di Cremisan;

– smantelli le sezioni del muro già costruite su tutto il territorio palestinese occupato;

– ripianti gli ulivi sradicati e risarcisca gli agricoltori che hanno perso i loro alberi.

Fonte: Cec

Foto: https://c2.staticflickr.com/2/1518/24376673945_c16f8d0916_b.jpg