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Un gay pride blindato

I poliziotti erano assai più dei manifestanti, si parla di un rapporto di 5 mila forze dell’ordine a fronte di un migliaio scarso di donne e uomini a sfilare fra reticolati e barriere di sicurezza. In un clima di tensione si è comunque svolto il terzo gay pride della storia ucraina, il primo a potersi snodare nelle vie del centro.

Nel 2013, anno della prima edizione, e nel 2015, anno della seconda, dopo che nel 2014 le minacce di morte ne avevano sconsigliato l’organizzazione, le marce hanno infatti avuto luogo nella periferia di Kiev, lungo le rive del fiume Dnepr, in luoghi isolati, di facile controllo da parte della polizia e lontano dagli occhi dei passanti.

Quella di domenica invece ha potuto svolgersi nelle strade del centro, seppur per l’appunto fra eccezionali misure di sicurezza, date le minacce pronunciate da numerosi gruppo di estrema destra che scorrazzano impuniti nel Paese sempre alle prese con una guerra civile lacerante. A differenza delle edizioni precedenti non si sono registrati scontri e conseguenti arresti, proprio per le ampie misure preventive garantite dalle autorità. Autorità interessate a far bella figura con l’Europa, per proseguire lungo la strada di una sempre maggiore integrazione con Bruxelles. Da qui la svolta anche nelle relazioni con il panorama Lgbt nazionale, almeno nella facciata istituzionale, mentre resta diffuso il pregiudizio e il discrimine fra la popolazione e fra la potente Chiesa ortodossa che vede come fumo negli occhi simili aperture.

Ma il pressing dell’Unione Europea e di uno dei suoi massimi rappresentanti, Jean-Claude Junker, sta lentamente fiaccando le resistenze politiche che si oppongono a un’estensione dei diritti a tutta la popolazione: solo nello scorso autunno una specifica raccomandazione vincolava sostanzialmente Kiev a vietare le discriminazioni basate sull’orientamento sessuale in cambio della possibilità per i cittadini ucraini di circolare liberamente in Europa, rientrando a pieno titolo nell’area Schengen, senza necessità di visti o quant’altro. Un prezzo pagato con non pochi mal di pancia se è vero che per ben due volte il Parlamento ha ampiamente bocciato la proposta, prima di cedere di misura di fronte alle insistenze del presidente Petro Porosenko, ansioso di proseguire l’iter di avvicinamento all’Unione Europea. Un successo diplomatico e politico più che culturale o di massa quindi, ma comunque un passo in avanti per l’intera comunità Lgbt ucraina, che trova pochi altri motivi di conforto. La scarsa presenza di partecipanti in una nazione con oltre 42 milioni di abitanti è segnale della diffidenza e della paure che ancora accompagnano simili esternazioni dei propri sentimenti. Del resto un esperimento sociale compiuto lungo le vie della capitale lo scorso anno si era concluso assai male come si può valutare da questo video.

Solo a marzo a Leopoli, forse la città ucraina più moderna e tollerante, una analoga marcia è stata annullata dopo il pestaggio subito da alcuni attivisti.

L’amministrazione Obama ha voluto inviare alla manifestazione un proprio rappresentante, Randy Berry, primo inviato speciale per i diritti umani delle persone Lgbt della storia statunitense, altro segno di quanto stia a cuore al resto del mondo la questione Kiev e di quanto i politici ucraini siano sotto attenta osservazione da parte di chi dovrà suggellarne l’entrata nel grande mercato, di uomini e di merci, occidentale.

Sarà interessante osservare gli sviluppi politici e culturali dei prossimi mesi per valutare quanto sia disposto Porosenko a tirare la corda con un elettorato e una chiesa ortodossa assai forte che non vedono di buon occhio questo vento libertario.

Immagine: By Tim Evanson from Washington, D.C., United States of America – rainbow flag – DC Capital Pride parade – 2013-06-08Uploaded by daisydeee, CC BY-SA 2.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=29923165