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La bandiera sudista che divide

Il 14 giugno i delegati delle congregazioni membro della Southern Baptist Convention (Sbc) – la più grande denominazione protestante degli Stati Uniti, riuniti a St. Louis (Missouri) per l’incontro annuale, hanno approvato a stragrande maggioranza la Risoluzione 7 che vieta l’esposizione della bandiera confederata, il vessillo utilizzato dagli schiavisti durante la Guerra di secessione americana. L’utilizzo della bandiera confederata era un esempio della propaganda della discriminazione razziale. Ne parliamo con Alessandro Portelli, storico, critico musicale e anglista, ordinario di Letteratura anglo-americana alla Sapienza Università di Roma

«Le minoranze oggetto di discriminazioni razziali hanno fatto tutto quanto in loro potere per poter contrastare le persecuzioni subite e spesso sono riuscite a imporre cambiamenti importanti come la posizione del Governo Federale. Non è un caso che la legge sui diritti civili per il diritto di voto Civil Rights Act, varata da Lyndon Johnson nel 1964, sia il risultato di decenni di mobilitazioni dei Comitati per i diritti civili. Dunque movimenti e grandi battaglie hanno da sempre contrastato gli atteggiamenti e i sentimenti razzisti; tuttavia oggi quel sentimento continua a occupare un ruolo centrale nella politica e nella vita quotidiana degli Usa».

Ad esempio il successo politico di Trump?
«Certamente. Un successo in larga parte imperniato su questo. Non dimenticherei, oltre a questo, anche il, quasi, quotidiano omicidio di persone afroamericane da parte della polizia statunitense; un’aggressione che coinvolge al 90% neri, latino-americani e nativi americani. Per far comprendere quanto sia radicato il razzismo negli Usa, ricordo che in occasione delle primarie del 2008 la stessa Hillary Clinton ha più volte alluso all’identità razziale di Obama per contrastarlo. È dunque evidente che vi sia la necessità di porre rimedio a questo male e che molte persone si impegnino con tutte le loro forze per contrastarlo».

L’uso della bandiera confederata?
«È stata tolta – ammainata – dal governo del South Carolina solo dopo l’ultima strage avvenuta nella chiesa afroamericana di Charleston nel 2015. Un gesto di riconciliazione e di buona volontà e un passo significativo, disse allora il presidente Obama. Tuttavia questa bandiera continua a essere visibile in molte occasioni, inutili o di quotidianità nel South. Ma non solamente negli Usa. Quando in Italia negli stadi di calcio venne proibito l’uso di simboli politici cominciarono a fiorire le bandiere confederate: ricordo lo Stadio Olimpico invaso da bandiere sudiste portate dai tifosi “fascisti” della Lazio. Questo ci dice quanto quella tradizione “lontana” echeggi anche tra di noi».

Chi, secondo lei, oggi è il rappresentante delle battaglie per i diritti civili a livello istituzionale e culturale negli Usa?
«Hillary Clinton oggi gode di grande sostegno da parte degli afroamericani, seppur l’imprigionamento di massa di molti di loro dipenda proprio dalle leggi penali varate da suo marito Bill Clinton. Comunque la famiglia Clinton ha sempre dimostrato rispetto personale verso gli afroamericani. In questo momento il punto di riferimento e portavoce dei diritti per gli afroamericani è certamente il movimento Black Lives Matter (blacklivesmatter.com), nato spontaneamente dalla rete immediatamente dopo gli episodi di Ferguson. La debolezza di questo movimento forse risiede proprio nelle caratteristiche della rete: affidarsi a una politica esclusivamente virtuale. D’altra parte, però, ne sfrutta le capacità, poter diffondere facilmente le opinioni, gli stati d’animo, sensibilizzare a livello virale l’opinione pubblica su questo tema».

Di questo tema ci sono riflessi nella musica, nella cultura, nell’arte?
«Ta-Neishi Coates, scrittore afroameticano, ha scritto un libro moto importante dal titolo Tra me e il mondo, divenuto ben presto un testo di riferimento, quasi un manifesto per i diritti civili. Nello sport molto si muove nel mondo del basket e nella musica, per ricordarlo, Prince scrisse una bellissima canzone dedicata al Black Lives Metter; Bruce Springsteen colpì con la sua Pelle americana (41 Shots). La musica è sempre stata terreno di dignità».

Quanto alla Southern Baptist Convention, dice Massimo Rubboli, professore di Storia dell’America del Nord all’Università di Genova, dove ha insegnato anche Storia del cristianesimo, e membro della chiesa battista di Genova, «Senza dubbio si è trattato di una decisione importante per una denominazione che fu creata nel 1845 per difendere i missionari battisti proprietari di schiavi e che dopo la Guerra civile sostenne la segregazione razziale attuata negli Stati del Sud. Dato l’alto valore simbolico che la bandiera degli Stati Uniti ha sempre avuto come simbolo dell’identità nazionale, la bandiera della Confederazione sudista aveva mantenuto una forte valenza simbolica alternativa. Quindi, vietarne l’esposizione vuol dire ripudiare quello che questa bandiera rappresenta, cioè la difesa della supremazia bianca basata su un’ideologia razzista che aveva portato a legittimare la schiavitù. D’altra parte, abbattere un simbolo non basta ad eliminare ciò che esso rappresenta».

Non solo, ma, aggiunge Rubboli, le chiese si sono schierate su entrambi i fronti, da un lato a difesa della schiavitù, della segregazione e della discriminazione e, dall’altro, per l’abolizione della schiavitù e per l’affermazione dell’uguaglianza dei diritti di tutti i cittadini. Oggi il razzismo si manifesta anche nei confronti di coloro che cercano rifugio; dopo gli attentati di Parigi dello scorso novembre, più di trenta governatori hanno cercato di bloccare l’ingresso nei loro stati di rifugiati siriani e il candidato repubblicano alla presidenza degli Stati Uniti, Donald Trump, ha proposto di impedire l’immigrazione di musulmani. Trump ha ripetuto questa proposta pochi giorni fa, dopo il massacro di Orlando. In questo contesto di demagogia xenofoba, mi pare che l’assemblea della Convenzione battista del Sud abbia preso una decisione forse ancora più importante di quella che riguarda la bandiera confederata; mi riferisco alla Risoluzione 12 che riguarda i rifugiati. Il testo, citando versetti biblici sull’accoglienza degli stranieri, invita ad accogliere i rifugiati “nelle chiese e nelle famiglie”. Si tratta di una presa di posizione molto importante, anche perché dissocia la Sbc dal tradizionale legame politico con il Partito repubblicano. Finalmente, si legge su un blog di un credente americano, la Sbc ha preferito God al Gop (Grand Old Party, soprannome del Partito repubblicano)!».

Immagine: via flickr.com, utente edward stojakovic