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Porte chiuse nel Ponente ligure

Alla fine del mese di giugno, il sindaco di Carcare, un piccolo comune dell’entroterra savonese, in Val Bormida, ha emesso un’ordinanza con la quale si impone «il divieto di dimora, anche occasionale, di persone provenienti da paesi dall’area africana o asiatica presso qualsiasi struttura di accoglienza, prive di regolare certificato sanitario attestante le condizioni sanitarie e l’idoneità a soggiornare». Quella del sindaco Franco Bologna è una decisione molto simile a quanto già deciso dal comune di Alassio, guidato da una giunta di centrodestra, e ha lo scopo di evitare nuovi arrivi di profughi nelle strutture presenti sul territorio comunale, mettendosi quindi in contrasto con quanto stabilito dalla Prefettura all’interno dello Sprar, il Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati. Secondo l’amministrazione di Carcare, le origini di questa scelta vanno cercate in un’emergenza sanitaria, perché molti ospiti delle strutture e delle cooperative che si occupano di accoglienza provengono da Paesi in cui sono presenti numerose malattie infettive come la tubercolosi e la scabbia. Tuttavia, sono in molti a contestare una motivazione di questo tipo, giudicandola infondata, come ha fatto l’Unar, l’Ufficio nazionale anti discriminazioni razziali, che attraverso il suo Direttore generale, Marco De Giorgi, spiega che «tra l’insorgenza di malattie infettive, l’origine etnica e la provenienza geografica non ci sono connessioni».

Secondo l’avvocato Alberto Guariso, consigliere di Asgi, l’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione, non sono sbagliate solo le motivazioni, ma anche lo strumento scelto per imporre la propria posizione.

È una decisione senza precedenti?

«A dire il vero dobbiamo “rendere onore” al Bergamasco e alle sue amministrazioni leghiste: la vicenda, infatti, ha avuto origine prima presso alcuni comuni di quell’area, che avevano emesso delle ordinanze identiche, poi è seguita l’ordinanza di Alassio, adesso questa, e per quanto ci risulta anche altri comuni del Ponente ligure hanno in corso l’adozione di simili ordinanze.

Tuttavia, il caso di Carcare è particolare: mentre le altre ordinanze erano generiche, e cioè facevano divieto di soggiornare nel territorio in forma generale, questa cita proprio nelle motivazioni il fatto che, in base al piano di accoglienza concordato con le prefetture nell’ambito dello Sprar, sia previsto l’arrivo di alcuni richiedenti asilo che verrebbero ospitati in una struttura. La connessione tra il potenziale arrivo dei profughi e la scelta di questa ordinanza per impedirne l’arrivo è esplicita. Mentre negli altri casi era solo implicita perché si vergognavano un po’ per adottarla proprio a questo fine, in questo caso non sussiste neppure la vergogna, e quindi viene adottata espressamente per dire che quelle persone, che un organo dello Stato come la prefettura ha deciso di inviare lì, non devono venire».

Questa decisione viene direttamente dal sindaco, Franco Bologna, o è stata dettata dall’alto?

«Visto che ordinanze analoghe si stanno diffondendo presso amministrazioni di identico orientamento politico, evidentemente qualcuno ha pensato che questo fosse lo strumento per compiere un’azione politica. Con un’ordinanza come questa si dice in sostanza che politicamente non si è d’accordo con l’emergenza profughi, con il piano delle prefetture, con l’atteggiamento del governo, con le Nazioni Unite e con l’Unhcr. Politicamente si può dire quello che si vuole e rientra nella libertà politica di qualunque partito di sostenere le proprie tesi, però è odioso che lo si faccia attraverso strumenti amministrativi illegittimi e attraverso l’uso del potere dell’amministrazione, che è un’istituzione e non un partito politico, per cercare di contrastare delle scelte che sono state legittimamente fatte. Certo, il contrasto e la contestazione sono legittime dal punto di vista politico, ma non si devono piegare l’attività amministrativa e i poteri che la legge conferisce al sindaco, perché lo scopo è completamente differente. Nel caso specifico, il sindaco ha certamente il potere di occuparsi di emergenze sanitarie, ma non può piegare la legge alla sua lotta politica in materia di profughi contro le scelte del governo».

È evidente che non ci troviamo di fronte a una vera e propria emergenza sanitaria. E allora questo provvedimento è sostenibile di fronte al diritto?

«I problemi sono molteplici. Innanzitutto, la legge consente al sindaco di assumere determinati provvedimenti in caso di emergenza sanitaria, ma questi poteri sono limitati ai casi di emergenza di carattere locale. Ora, siccome il sindaco sostiene nei fatti che tutti coloro che provengono dall’Asia o dall’Africa sono esposti al rischio di trasmissione di malattia, allora evidentemente non si tratta di un’emergenza locale, e quindi evidentemente il sindaco non ha potere di intervenire su questa materia.

In secondo luogo, la cosa assurda è che le persone al centro dell’ordinanza sono richiedenti asilo, quindi persone che sono già entrate nel sistema di protezione, che hanno diritto di soggiornare in Italia e per cui qualunque tipo di esame e verifica è rimesso alle strutture che si occupano preventivamente dell’accoglienza autorizzando e inviando gli stranieri nelle strutture di accoglienza; questo significa che qualunque verifica necessaria è già stata fatta da altre autorità.

Infine, e qui arriviamo alla totale insostenibilità, nel dispositivo si chiede un certificato di idoneità a soggiornare, cioè una specie di “certificato di buona salute”. Ora, siccome il nostro ordinamento non prevede nessun certificato medico di idoneità a soggiornare, siamo di fronte a una cosa che non è soltanto fastidiosa e clamorosa, ma è pure inesistente. Il comune di Carcare chiede un documento che anche dal punto di vista pratico e giuridico non è richiedibile, perché nessuna autorità medica può dare un certificato di idoneità a soggiornare. Ricordiamo sempre che nel nostro Paese esiste la libertà di circolazione, quindi chi è autorizzato a soggiornare in Italia può recarsi dove ritiene, e in particolare il richiedente asilo può e deve recarsi nei comuni e nelle aree che si vengono assegnate. Detto questo, l’assurdità di questo meccanismo risulta ancora più evidente».

L’ordinanza quindi è inapplicabile, giusto?

«Sicuramente è inapplicabile, ma prima ancora è del tutto illegittima e discriminatoria, perché all’atto pratico colpisce solo i richiedenti asilo, un gruppo di persone protetto dall’ordinamento. In teoria l’ordinanza dovrebbe essere applicabile anche a un italiano che torna da un Paese asiatico o africano, ma ovviamente verrebbe applicata solo ai richiedenti asilo di cui si parla nelle motivazioni, e quindi è totalmente illegittima perché emessa senza che il sindaco abbia un potere su questo tipo di situazione. Inoltre è discriminatoria e quindi la impugneremo davanti al giudice e vedremo cosa si deciderà in quella sede.

Segnalo che in un altro caso, quello di Telgate, giunti davanti al giudice l’amministrazione comunale si è resa conto dell’assoluta impossibilità di difendere un’ordinanza del genere, che era assolutamente identica a questa, anche se aveva almeno la dignità di non dire “lo facciamo per impedire l’arrivo dei profughi”, e l’hanno ritirata, pagando addirittura le spese processuali e lasciando immediatamente perdere. Per il momento, né il sindaco di Alassio né quello di Carcare si sono mossi in questa direzione, ma speriamo che lo facciano presto, anche perché agiremo legalmente contro entrambe le ordinanze».

Oltre al vostro, ci sono altri pareri che andrebbero tenuti in conto?

«Se consideriamo i casi di Alassio e Carcare come una cosa sola, dobbiamo ricordare che era intervenuto l’Unar, l’Ufficio nazionale anti discriminazione, che era concorde con la nostra tesi. L’Unar, che è un organo che opera nell’ambito del dipartimento delle pari opportunità, ha anche una valenza pubblicistica della quale le amministrazioni dovrebbero tenere conto».

Possiamo collocare queste ordinanze all’interno di una specie di bolla destinata a scoppiare?

«Certamente sì, perché qui si studiano tutti i modi per contrastare l’accoglienza, ma al di là delle considerazioni etiche e umanitarie, non c’è terreno giuridico per farlo. Abbiamo un piano di emergenza profughi e degli obblighi giuridici di organizzare questa accoglienza e abbiamo di fronte una reazione che opera non solo politicamente, ma anche attraverso questi presunti e illegittimi strumenti amministrativi. Visto che stiamo parlando di una reazione anche abbastanza diffusa presso le amministrazioni, è necessario certamente contrastarla localmente sul piano politico, sociale e culturale, discutendo di come va affrontata questa vicenda, ma anche giuridicamente, perché è importante che in questi casi ci sia anche la parola del giudice che dice se certe azioni possono essere intraprese oppure no.

C’è stata nel recente passato una stagione di ordinanze comunali discriminatorie in materia di prestazione sociale, che per esempio prevedevano il “bonus bebè” solo per gli italiani, oppure in un caso si intendeva garantire l’accesso alle cure dentistiche solo agli italiani, e così via. Il contrasto sul piano giuridico ha fatto sì che finisse, tant’è che oggi tutti sanno che ordinanze del genere comportano cause, spese per il comune, e non ce ne sono praticamente più. Credo che in questa vicenda dobbiamo seguire la stessa strada, cioè una forte azione di contrasto culturale e politico e anche una reazione giuridica per affermare dei principi di diritto che servono per costruire una convivenza migliore e una società più solidale e più progredita. A volte, insomma, le leggi e i giudici in questo senso servono».

Immagine: By Arri87 at Italian Wikipedia, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=16292579