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Visioni eccentriche del Cristo morto a confronto

Prosegue il percorso tracciato da James M. Bradburne, da un anno direttore della Pinacoteca, per passare dalla vecchia alla «nuova Brera»; nuova sia nell’organizzazione espositiva sia nel rapporto con i visitatori, che sono posti al centro della funzione museale, sottratta al controllo istituzionale delle soprintendenze, orientate piuttosto verso gli studiosi. Questi dialoghi aprono un percorso destinato a collegare l’ente milanese con altri musei a livello internazionale e soprattutto con i fruitori dell’arte, siano essi locali o turisti di passaggio nella città.

Dopo lo Sposalizio della Vergine di Raffaello e Perugino, viene presentato ora Cristo morto nel sepolcro e tre dolenti di Mantegna (1506), messo a confronto con lo stesso tema trattato da Annibale Carracci: Cristo morto e strumenti della passione (Staatsgalerie-Stoccarda, del 1582, quasi un secolo dopo, cui si aggiunge l’interessante Compianto sul Cristo morto di Orazio Borgianni (Galleria Spada), non trascurando altri capolavori di Brera, che consentono interessanti collegamenti con temi collaterali, atti a realizzare collegamenti tra i due momenti storici diversi in cui l’evolversi del tempo trascina con sé elementi caratteristici del periodo precedente, rielaborandoli in funzione del secolo a venire e mostrando già i prodromi di una nuova cultura.

Mantegna osa affrontare un tema fondamentale della tradizione cristiana con una visione «in scurto» (scorcio) addirittura rivoluzionaria, una visione che richiede adattamenti alla dimensione dei piedi e della testa, riducendo i primi e ampliando la seconda, per conservare intatto l’effetto ottico di un ambiente immerso nella penombra tombale, in cui il pianto delle figure di Maria e di Giovanni apostolo determina un pathos di straordinaria intensità; questo pathos non incrina peraltro l’atmosfera mistica cui il terzo personaggio, non riconoscibile, aggiunge il senso di una possibile proiezione oltre lo spazio e il tempo verso un ‘intera umanità esterna, consona al sentire della madre e dell’apostolo. a formare un insieme tendenzialmente universale.

Gli adattamenti prospettici, finalizzati all’effetto visivo dell’insieme, indicano una capacità di uscire dalle regole che va ben oltre la cultura del tempo. Il Cristo di Annibale Carracci presenta una visione filtrata dai mezzi di tortura – chiodi, pinze, corona di spine – tramite i quali intenderebbe rappresentare più realisticamente l’altro: è il percorso di Gesù’ verso la morte ma questi attrezzi non riescono a evocare il senso dell’eternità, verso cui il percorso del Cristo proietta sé stesso e l’umanità intera; emerge chiaro il soffrire patito sulla croce ma non l’obiettivo di questo patire; il corpo si presenta disteso con l’evidenza tormentosa delle sue ferite, ma appare più un corpo pronto per il sezionamento in un anfiteatro anatomico, simile a quello ben noto nell’antica università di Ferrara, che quello di un Dio sceso in terra per la salvezza dell’umanità, rivestendone le sembianze. Sempre di un capolavoro si tratta, ma forse l’ispirazione risente più della cultura tipica del seicento come «secolo della scienza» che della mistica ancora praticata nei monasteri dell’epoca.

Non altrettanto si potrebbe dire del Cristo di Bongiovanni, in cui il chiodo in primo piano non incide sul piegarsi della madre e dell’altra figura piangente.

Milano, Accademia di Brera – fino al 25 settembre

Immagine: By Andrea Mantegna – Taken from [1]Transferred from en.wikipedia to Commons by Sailko using CommonsHelper. 13 August 2004 (original upload date). =Original uploader was Pethan at en.wikipedia, Public Domain, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=9075099