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«Il dono di esistere»

Fonte: Cec

Quando ci si riferisce ai disabili come persone «vulnerabili», si rafforza l’illusione che gli individui senza disabilità siano forti e possano prendersi cura di se stessi. È questo uno dei punti contenuti nel documento, «Il dono di esistere», discusso dal Comitato Centrale del Consiglio ecumenico delle chiese (Cec) nel corso di un incontro che si è svolto in Norvegia. Il documento afferma che la maggior parte delle persone, a un certo punto nella vita, sperimenterà una ridotta mobilità in una forma o nell’altra.

Dal 1998 l’Ecumenical Disability Advocates Network (Edan) del Cec lavora sulle questioni legate all’integrazione dei disabili nelle 348 chiese membro, e alla riunione del Comitato centrale svoltasi a Trondheim (22-28 giugno), la base di questo lavoro è stata riesaminata.

Samuel Kabue, segretario esecutivo della Edan, ha parlato del percorso che ha portato al nuovo documento politico «Il dono di esistere».

«Il principio di essere creati a immagine di Dio ci ha portato a scegliere come titolo “Il dono di esistere”. La vita in tutte le forme ha lo stesso valore; anche se i nostri corpi sono diversi, siamo tutti ugualmente creati a immagine di Dio. In quanto esseri creati, siamo anche oggetto dell’amore di Dio, e l’amore di Dio si applica ugualmente a tutti. Anche le persone, i cui corpi possono sembrare deboli, sono preziosi», ha detto Kabue.

L’invito a lavorare sull’inclusione delle persone con disabilità non arriva più dall’esterno, «ora le chiese lo considerano un loro compito. Dal punto di vista della chiesa, non abbiamo bisogno di discutere sull’inclusione. Ciò di cui abbiamo ancora bisogno è riflettere sui casi di esclusione. L’Edan vuole aiutare la famiglia ecumenica a vedere le immorali conseguenze dell’esclusione nel nostro lavoro e nelle nostre istituzioni».

Nel documento «Il dono di esistere», il Cec affronta il tema della disabilità dal punto di vista dei diritti umani. In particolare sono state discusse le sfide etiche poste dai rapidi progressi compiuti nelle tecniche di fecondazione assistita.

Il testo osserva che lo screening genetico e l’inseminazione artificiale cercano di fornire ai futuri genitori una «scelta informata» per quanto riguarda i tratti genetici di un bambino. A questo proposito, il documento Cec pone interrogativi relativi alla comprensione dell’espressione «qualità della vita».

Ad esempio, il documento afferma: «È preoccupante quando gli argomenti relativi alla qualità della vita sostengono l’idea che certe condizioni limitative si traducono in vite umane che non sono degne di essere vissute». Il documento critica gli studiosi di etica che creano distinzioni tra «essere vivo» e «avere una vita». «All’interno di tale distinzione – si legge nel documento – risiede l’idea che l’«essere vivi» non ha alcun valore in sé e per sé, e che la vita umana ha un valore in base a ciò che le persone sono in grado di fare nella vita».

«I progressi compiuti nell’ambito dell’inseminazione artificiale inviano il chiaro messaggio che “la vita disabile” non è benvenuta e dovrebbe essere impedita di nascere», afferma il documento, evidenziando che un tale atteggiamento trascura di considerare come tutto ciò sia percepito da persone con disabilità e le loro famiglie.

Immagine: via Susanne Erlecke/EKD/WCC