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Isola d’Elba chiude le porte ai rom

Poco più di una settimana fa l’Isola d’Elba ha deciso di chiudere le porte ai rom. Un’ordinanza emessa dal sindaco di Portoferraio, Mario Ferrari, ha infatti dato esecuzione allo sgombero di due famiglie di etnia rom, 33 persone in tutto, sulla base di quelli che vengono definiti «gravi disagi per i fruitori della zona portuale, oltre che causa di degrado per l’ambiente». Sfruttando il comma 5 dell’articolo 50 del Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali (D. Lgs 267/2000), risalente al 2000, nel quale si afferma che «in caso di emergenze sanitarie o di igiene pubblica a carattere esclusivamente locale le ordinanze urgenti sono adottate dal sindaco, quale rappresentante della comunità locale» si è potuto evitare il passaggio dalla Prefettura, che sarebbe invece stato obbligatorio per casi di problemi di ordine pubblico.

L’ordinanza, che ha colpito due famiglie rom che si trovavano temporaneamente sull’isola in uno spazio non attrezzato, non si è limitata al comune di Portoferraio: nei giorni successivi le altre sette municipalità dell’isola hanno emesso documenti identici, rendendo di fatto “vietata” l’isola ai rom. Un problema di igiene, dunque? Secondo Lorenzo Marchetti, membro della comunità valdese presente sull’Isola d’Elba, «è soltanto una scusa, perché è pretestuoso affermare che 20 o 30 persone, su una popolazione che in questo periodo raggiunge le 300.000 unità, possano creare problemi significativi».

Il provvedimento adottato dal sindaco di Portoferraio intendeva anche impedire che i rom si spostassero in un’altra zona dell’isola. L’ordinanza, infatti, prevede lo sgombero dei campi non autorizzati non solo dall’area indicata ma da «tutto il territorio comunale», ed essendo stata adottata da tutti i sindaci dell’isola ha creato uno spazio interamente vietato per i rom, presenti sull’isola con le loro abitazioni mobili. «Per di più – prosegue Marchetti – queste persone sono state prese e accompagnate dalle forze dell’ordine ai traghetti, imbarcati su un traghetto e rispediti sul continente. Mi pare sia un atto esecrabile in tutti i sensi, comunque la si pensi». Sarebbe successo lo stesso nel caso di campeggiatori abusivi di altra nazionalità o origine?

Nelle varie ordinanze non si fa soltanto riferimento al degrado urbano, ma anche a «probabili e conseguenti forme di molestia all’ordine e alla sicurezza», come se si considerassero le famiglie rom come disturbatrici “in sé”, riversando su un gruppo di 30 persone i pregiudizi che si attribuiscono su larga scala all’intero gruppo etnico. «Non si può colpire l’etnia rom pensando che tutti siano ladri e disturbatori e quindi vadano allontanati dall’Elba», ricorda ancora Marchetti. «È una situazione inammissibile, come se facessimo un’ordinanza per cui tutti coloro che provengono, per esempio, dall’Ucraina o dalla Moldavia, presenti tra l’altro in grande quantità sull’isola come badanti o come lavoratori nel settore dell’edilizia e perfettamente integrati, venissero espulsi in base alle convinzioni legate alla loro nazionalità».

Secondo il sindaco Ferrari, che rivendica il pieno sostegno dei suoi concittadini, i rom espulsi erano dediti a piccoli furti nei supermercati e sulle spiagge, oltre che a «diversi atti vandalici in giro per l’isola». Eppure non tutti sono d’accordo: «i rom qui all’Elba sono sempre venuti e non si sono mai create situazioni di questo genere», ribadisce Marchetti. Le proteste per questa decisione non sono mancate neppure sui social network: «Può darsi che siano incorsi in azioni da sanzionare amministrativamente o anche penalmente, e in questo caso ci sono leggi e pene che il giudice applica – scrive Pino Coluccia, un consigliere comunale di centrosinistra, all’opposizione nel comune di Rio nell’Elba, uno dei comuni che ha adottato l’ordinanza –, ma provvedere a “dargli il via” da un territorio mi sembra un eccesso, se non un vero e proprio abuso di potere. Nell’ordinanza si parla di assenza di autorizzazione o mancato rispetto di norme igienico-sanitarie o di decoro pubblico, ma per questi “reati” non è previsto un trasferimento “invitato” o “guidato” e quando sono altri cittadini, cosiddetti “normali”, a compierli, non si mandano via dal territorio, ma si sanzionano. Nella Costituzione tra i diritti personali c’è quello della libera circolazione. Non è che sia scattato il tic razzista del pregiudizio?».

Il razzismo nei confronti delle comunità rom non è diffuso soltanto sull’Isola d’Elba, ma fa parte di un sentimento per nulla fondato e per nulla spontaneo, stimolato da anni di politiche volte a raccontare e descrivere i rom come irrimediabilmente ladri e parassiti. I rom, gli “zingari”, vengono spesso additati come “il vero problema” italiano, e su loro vengono riversate convinzioni che fanno parte di una retorica riassumibile, in larga parte, nella rivendicazione “prima gli italiani”. Nei decenni, le stesse caratteristiche sono state attribuite ai meridionali, ai “marocchini”, agli albanesi negli anni Novanta, ma sempre e comunque anche ai rom. Negli anni della crisi economica, la retorica è diventata sempre più forte e penetrante, perché è stato possibile appoggiare su un innegabile disagio la forza del capro espiatorio, in quella che il linguista e sociologo olandese Teun Van Dijk definì due decenni fa una «guerra tra poveri» che ha costantemente bisogno di un “ultimo”, una categoria in fondo alla scala sociale da cui sentirsi minacciati.

Soffiando sul fuoco della crisi economica è stata costruita una narrazione che fa dell’“italiano povero” una doppia vittima, minacciata dagli stranieri e ignorata da governi che, come viene spesso ripetuto, “non fanno niente per risolvere il problema, non mandano via gli stranieri e danno loro anche la casa”. Questa retorica non è altro che razzismo trasformato in discorso quotidiano: attraverso i social media, più ancora che attraverso gli strumenti tradizionali, il razzismo quotidiano può diventare discorso pubblico, e frasi come “io non sono razzista, ma i rom…” diventano invece apertamente razziste e portatrici di una logica divisiva violenta e pericolosa.

L’impressione è che la questione del “decoro pubblico” sull’isola d’Elba faccia parte proprio di questa battaglia politica, e che sia la prosecuzione di un discorso già avviato mesi fa. «Bisogna considerare – ricorda Marchetti – che all’Elba su otto comuni ben sei sono guidati da sindaci di centrodestra e il loro atteggiamento è quello di colpire tutti gli immigrati, specialmente quelli che arrivano in Europa sui barconi. Non a caso, qualche mese fa il sindaco di Capoliveri, che è il leader del centrodestra locale, quando si parlò del fatto che molto probabilmente alcuni immigrati dovevano essere ospitati in strutture di Capoliveri creò un movimento contrario e trovò consenso tra i cittadini». In questo fronte politico apparentemente compatto non mancano però gli scivoloni: proprio in occasione delle proteste contro l’ipotesi di accogliere i profughi sull’isola, Ruggero Barbetti, il sindaco di Capoliveri aveva proposto di portare i profughi a Pianosa, dove «si potrebbe creare un centro di smistamento, dove vengono identificati e selezionati profughi e clandestini. Come Manus Island», l’isola della Papua Nuova Guinea dove l’Australia gestisce i migranti che arrivano dall’Indonesia. Peccato che quella struttura sia stata più volte messa sotto osservazione da parte di governi e Ong a causa delle continue violazioni dei diritti degli ospiti, isolati e segregati.

Per ora non sembra che ci sia lo spazio di manovra per convincere gli amministratori locali a tornare indietro, ma un gesto come questo potrebbe creare dei precedenti, e questo preoccupa. «L’Elba – conclude Marchetti – è sempre stata un’isola accogliente per tutti».

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