75205914_e11af00bc0_b

Il dramma della cassaintegrazione

E’ difficile che passi un giorno senza che nei giornali e o in televisione si parli del prossimo referendum e dei disastri inimmaginabili che porterebbe la vittoria dei sì, o, secondo le opinioni opposte, quella dei no. Si parla con preoccupazione del Pil che non cresce, di banche, oppure degli incidenti in montagna a causa della folla di turisti che si avventura dove non dovrebbe, senza preparazione e neanche con vestiti adeguati (c’è la coda anche per salire sul Cervino, sarebbe forse il caso che il Cai- Valpellice avvisasse che Vandalino e Gran Truc sono liberi e si va anche senza guida!)

Parlando seriamente, l’altra grande incognita resta l’Isis e come reprimere questo tipo di terrorismo nei confronti del quale molte delle tecniche fin qui impiegate o proposte sono costose e inefficaci. Anche la più raffinata sorveglianza non potrà mai impedire che uno si faccia saltare per aria dentro un locale o un autobus o si metta a sparare all’impazzata tra la folla…

Nelle chiese valdesi e metodiste si parla molto anche di accoglienza e di inserimento per gli immigrati e, da un po’ di tempo, della positiva sperimentazione di “corridori umanitari”, iniziativa che vede la Tavola Valdese, la Federazione delle chiese evangeliche e la Comunità cattolica di S. Egidio impegnate insieme.

Assai meno risalto è stato dato (un ‘eccezione è Il manifesto)a quella che si potrebbe definire disperazione quotidiana dei licenziati: essa si manifesta con suicidi di operai in tanti luoghi, ma limitiamoci allo stabilimento Fiat di Pomigliano, dove nel 2007 l’amministratore delegato Sergio Marchionne aveva annunciato la chiusura dello stabilimento automobilistico per 6 mesi e l’avvio di corsi di formazione in vista della nuova organizzazione aziendale. Si creò un centro logistico a Nola dove vennero trasferiti 316 lavoratori tra i più sindacalizzati, che rimasero 6 anni in Cassa integrazione senza alcuna prospettiva di ripresa. Chi ha un certa età ricorderà che anche alla Fiat Mirafiori della nobile Torino, negli anni ’50 e ’60, esistevano i cosiddetti reparti “confino”, dove concentrare le “teste calde”, per impedire il contatto con gli altri operai durante il lavoro.

A Pomigliano, in quel periodo, si verificarono due suicidi e altri numerosi gesti autolesivi. Nel maggio 2014 un’operaia, Maria Baratto, si tolse la vita squarciandosi il ventre con un coltello: i compagni di lavoro allora issarono davanti all’ingresso un fantoccio con la faccia di Marchionne, appeso ad un cappio, con un cartello che recitava «Mi ammazzo, perdonatemi per tutti quegli operai che si sono suicidati». Qualche giorno dopo, l’inevitabile risposta aziendale, cioè il licenziamento dei 5 operai individuati come gli autori del gesto. Le motivazioni: aver messo in atto un intollerabile incitamento alla violenza e aver violato i più elementari doveri discendenti dal rapporto di lavoro, provocando un gravissimo nocumento morale all’azienda e al suo vertice societario. Di morti quasi non si parla, sono oggetto di pietà: così si vuol far tacere quello che i compagni di lavoro volevano urlare, cioè il legame fra cassintegrazione e suicidi. I lavoratori fecero ricorso, ma il giudice di Nola dichiarò legittimi i licenziamenti e nella seconda sentenza affermò «che non erano emersi elementi gravi, documentabili e precisi da cui poter desumere un immediato nesso di causalità tra i tragici suicidi dei predetti lavoratori e la conduzione manageriale imputabile all’amministratore delegato».

Ma, invece, a mio avviso, un nesso c’è fra i cassintegrati di Pomigliano e i migranti che sbarcano, se possono, a Lampedusa o su altre spiagge: anche molti di loro sono attesi in reparti-confino; nel loro barcone qualcuno ancora bambino è già stato suicidato – annegato, anche se gli esperti proveranno, come per la Fiat di Pomigliano che «non sono emersi elementi certi, gravi e documentabili da cui poter desumere un immediato nesso di causalità tra i tragici annegamenti e i barconi sfasciati offerti a caro prezzo dai trafficanti del mare».

Forse una delle cose che possiamo fare, anche nel nostro piccolo, è di affermare quel nesso di causalità e di darci da fare perché non ci siano più suicidi da cassa integrazione né annegamenti da barche che non stanno a galla.

Immagine: via flickr.com