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Di Segni: «Vicini, per essere prossimi»

Noemi Di Segni, 47 anni, nata a Gerusalemme e romana d’adozione è stata recentemente eletta alla presidenza dell’Unione delle comunità ebraiche italiane (Ucei), succedendo così a Renzo Gattegna. Abbiamo voluto rivolgerle, complimentandoci per il suo recente incarico, alcune domande.

Rappresentare l’ebraismo italiano è una missione importante; anche difficile da circoscrivere? 

«Circoscrivere il bagaglio storico, culturale e religioso a testimonianza di oltre duemila anni di presenza ebraica in Italia non è certamente semplice. L’impegno dell’Unione delle comunità ebraiche italiane (Ucei), a questo proposito, è indirizzato su due fronti, verso l’esterno, ossia verso lo spazio pubblico, sia verso l’interno, le nostre 21 comunità diffuse in Italia». 

Qual è la sfida più urgente oggi?

«È urgente rendere sempre più coese le nostre comunità accompagnandole e sostenendole nei loro specifici percorsi, monitorando i fenomeni sociali, politici e culturali che ne condizionano le scelte e le direzioni. Essere vicini, proprio per essere prossimi. Il calo demografico e la scomparsa di figure storiche importanti che hanno guidato le nostre comunità, anche negli anni più bui del Novecento, impongono oggi una seria riflessione sul futuro della nostra presenza, su ciò che siamo, chiediamo e vogliamo comunicare. La scomparsa dei testimoni diretti della Shoah, che hanno saputo raccontare e tramandare le nostre tradizioni e comunicare con forza tutto il male di quel periodo, la progressiva secolarizzazione sociale e il ritorno a chiusure, “muri” e populismi, sono segnali che richiamano i vecchi “fantasmi” del passato. La nostra attenzione è alta e per questi motivi è più che mai importante coinvolgere le nuove generazioni in percorsi condivisi, valoriali e di crescita. Un investimento per un futuro migliore».  

Questo compito di “guida valoriale” spetta a voi?

«Anche a noi, ovviamente. Non abbiamo un potere decisionale, ossia di vertice che impartisce istruzioni dall’alto verso il basso. Ogni comunità ha la propria autonomia. Il nostro compito è quello di fare “sintesi” tra le diverse comunità. L’Ente ha tuttavia ruoli ben precisi: promuovere e rappresentare tutte le attività e iniziative culturali nazionali, sociali e anche cultuali. Tra le prerogative c’è ovviamente il rapporto con le istituzioni, le associazioni e gli enti sul territorio nazionale; e poi con le religioni per la promozione del dialogo interreligioso e, ancora, ottemperare alla gestione economica e finanziaria delle nostre strutture e la cura dei rapporti con lo Stato: rapporto sancito grazie all’Intesa ottenuta nel 1987. Ovviamente ciò che desideriamo è far emergere la nostra identità ebraica, far comprendere quanto la nostra millenaria presenza in Italia sia stata importante, e quanto, ancora oggi, lo sia. Per rispondere in modo chiaro alla sua domanda, le nostre guide sono i rabbini delle nostre comunità». 

A loro spetta essere guide morali?

«Personalmente credo di sì. Il dibattito però al nostro interno è acceso. Ci sono posizioni differenti. A mio avviso un rabbino dovrebbe avere un ruolo sociale e culturale riconosciuto dall’esterno, e all’interno di guida morale, valoriale e religiosa per la comunità di riferimento. In questi anni però è sempre più evidente un problema –  un “mal comune” a tutte le minoranze religiose – ossia la difficoltà di poter garantire con continuità un regolare ricambio di rabbini al nostro interno. Sempre più spesso nelle nostre comunità arrivano rabbini dall’estero». 

Quali sono le sfide urgenti oggi?

«Consolidare la nostra presenza come punto di riferimento per le 21 comunità sparse sul territorio italiano attraverso un dialogo e un confronto continuo, dalle più rappresentative, come Roma e Milano, alle più piccole. All’esterno invece proseguire, come si è sempre fatto, nell’opera di presenza istituzionale, culturale, sociale». 

Lo scorso 3 luglio – in occasione delle sua elezione – si diede molto risalto al fatto che, per la prima volta, due donne fossero alla guida di Istituzioni ebraiche: lei e Ruth Dureghello per la Comunità ebraica di Roma. Cosa ne pensa?

«Devo ammettere che la cosa mi ha davvero stupita. Ho sempre ritenuto normale che le donne potessero ricoprire ruoli istituzionali. Dopo tanto clamore, mi sono però soffermata a riflettere sul perché, un fatto che a mio avviso dovrebbe essere normale, in realtà non lo sia per gran parte della società italiana; o almeno per i media nazionali». 

Il moderatore della Tavola valdese e il presidente della Federazione delle chiese evangeliche in Italia, appena eletta, le hanno fatto giungere la loro vicinanza. Quale futuro vede per il dialogo interreligioso ed ecumenico?

«Il rapporto con le chiese evangeliche e con la chiesa valdese in particolare è sempre stato intenso; camminiamo da sempre su binari comuni a difesa dei diritti e della laicità dello Stato. Condividiamo anche il cammino del dialogo interreligioso, un percorso concreto, reale e quotidiano. Un percorso oggi reso più difficile dai fondamentalismi e dalle violenze nel mondo, al di là dei buoni propositi. Un esempio di buone pratiche sono le iniziative condivise nell’ambito dell’Amicizia ebraico-cristiana. Un percorso importante». 

Due appuntamenti si sono tenuti a settembre: la Giornata europea della Cultura ebraica e la Festa del Libro Ebraico a Ferrara. Quanto è importante promuovere il patrimonio culturale della tradizione ebraica?

«La Giornata Europea della Cultura Ebraica è nata diciassette anni fa e quest’anno il tema scelto era davvero interessante: “Lingue e dialetti ebraici”. Un appuntamento importante e ben riuscito, così anche la Festa del libro ebraico a Ferrara. Se gli ebrei hanno fondato la propria esistenza sulla Torah, fonte di vita e sapere per l’ebraismo e riferimento per la cultura mondiale, scritta nella lingua sacra, l’ebraico, gli ebrei sparsi nel mondo a seguito delle diaspore hanno sviluppato una quantità di altre parlate e dialetti, che hanno contribuito alla trasmissione della nostra cultura di generazione in generazione. Siamo convinti che in un periodo storico estremamente complesso e difficile quale è quello che stiamo vivendo, sia importante continuare a proporre iniziative positive, che stimolino la costruzione di legami e ponti all’interno di una società inclusiva e attenta ai diritti di tutti, nel segno del rispetto di ogni componente del caleidoscopio culturale del nostro tempo».

 

Immagine: via moked.it