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Le pietre di Lund

Fonte: chiesavaldese.org

Lasciamo ad altri la ricerca degli aggettivi più eclatanti – “storico”, “epocale”, “eccezionale” – ma certamente l’evento di Lund del 31 ottobre 2016 non è di quelli che si esauriscono allo spegnere dei riflettori. La visita di papa Francesco alla famiglia luterana mondiale alla vigilia del Giubileo della Riforma meriterà una lunga e accurata riflessione: per ciò che è stato detto, per come è stato detto e per quando è stato detto.

Il “quando” è facile da interpretare: il vescovo di Roma ha scelto una data di grandissima rilevanza per il protestantesimo mondiale, intendendo così dare al suo gesto un’enfasi storica e programmatica. Lo ha fatto “prima” e non “dopo” le celebrazioni del 2017, assumendosi un doppio rischio: sul fronte interno ha fatto un passo coraggioso e temuto da chi denuncia la “protestantizzazione” del cattolicesimo post-ratzingeriano. Su quello esterno dei rapporti ecumenici, ha compiuto un gesto che qualcuno interpreta come il tentativo di “appropriarsi” della Riforma e così di depotenziarne la portata teologica ed ecclesiologica. In realtà, a nostro avviso, il papa ha semplicemente voluto dire che la Riforma non è una proprietà confessionale ma un patrimonio della cristianità e, se vogliamo, dell’intera umanità. Le frasi di Francesco sulla riscoperta luterana della Bibbia costituiscono l’architrave di una riabilitazione che oggi si esprime non con le formule dell’alta teologia ma in un linguaggio diretto e popolare.

E’ però importante anche “come” il papa ha parlato di Lutero e della Riforma. Lo ha fatto in una severa chiesa gotica e in un palazzo dello sport. Lo ha fatto con il linguaggio della preghiera e con quello della predicazione, citando l’Evangelo e rispondendo a testimoni delle grandi sfide che stanno di fronte ai cristiani del XXI secolo; tra un coro africano e un classico inno della Riforma; interrotto dalla solennità dell’organo e dal rullare dei tamburi africani. Insomma Bergoglio ha parlato ai protestanti di tutto il mondo guardando in faccia la cristianità globale, quella che in Europa diserta chiese e oratori ma che in Africa o in Asia determina una nuova ondata di spiritualità.

Infine il “che cosa”. Avremo bisogno di rileggere le parole di papa Francesco e di valutarle con attenzione. Ma due messaggi sono arrivati: il primo è che i dialoghi teologici devono continuare, ma a un passo e con un’agenda assai diversi da quelli che abbiamo conosciuto sin qui. Per esempio si dovrà parlare di condivisione eucaristica, e con l’obiettivo di arrivare a qualche conclusione che dia risposte a cristiani che non capiscono più il senso di “mense”, se non contrapposte, quanto meno distinte.

Il secondo messaggio è ormai una costante del ministero di Jorge Bergoglio. L’albero si vede dai frutti e la cristianità – cattolica, protestante, ortodossa – avrà futuro e credibilità solo se saprà rendere una testimonianza alla pace, alla giustizia e alla salvaguardia del creato.

Ogni parola e ogni gesto sono state come una pietra, una pietra usata per tracciare un cammino nuovo, percorribile non solo dagli addetti all’ecumenismo ma da ogni uomo e da ogni donna benedetti dalla grazia di Dio. Dopo tante pietre per distruggere, nuove pietre per costruire.

Speriamo che lo comprendano anche i giornalisti non specializzati, specie le Grandi Firme italiane, che, favorevoli o contrari all’impulso dato da papa Francesco, ne stanno dando una lettura solo “politicistica” infarcendola di considerazioni prive di fondamento storico e, naturalmente, teologico.

Immagine: di Cec