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L’Osservatorio delle Nazioni Unite sui diritti umani delle persone lgbt è salvo

 Lo scorso 22 febbraio Vitit Muntarbhorn, l’esperto nominato dal Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite per svolgere un ruolo di controllo e protezione delle persone discriminate a causa del loro orientamento sessuale e identità di genere, ha presentato un primo rapporto nel quale si parla di «un vortice di violenza e discriminazione». Nel rapporto, presentato a Strasburgo, si afferma che «i casi di omicidio, stupro, mutilazione e trattamenti inumani sono numerosi e ben documentati in varie parti del mondo».

Durante la presentazione, Muntarbhorn ha parlato di cinque aree chiave sulle quali lavorare nei prossimi anni, che vanno dalla depenalizzazione delle relazioni tra persone dello stesso sesso fino al lavoro sull’integrazione e sull’inclusione di queste tematiche nei percorsi scolastici, riconoscendo le difficoltà della sfida, che richiede un profondo cambiamento sul piano culturale e politico.

Il fatto che il percorso per un pieno riconoscimento dei diritti delle persone lgbt sia lungo e accidentato è stato testimoniato anche dalla risoluzione, proposta dal Botswana a nome di tutto il gruppo degli Stati africani, con la quale si chiedeva all’Assemblea generale di posticipare indefinitamente ogni azione sull’osservatorio lgbt, la cui base legale viene messa in dubbio non per questioni procedurali, come già accaduto una volta in passato, ma per motivi di principio.

Nella proposta di risoluzione i firmatari affermavano che le nozioni di orientamento sessuale e identità di genere non devono essere collegate alla nozione di diritti umani. Nello stesso testo, si contestava anche la giurisdizione sui diritti umani, ritenendo quelli delle persone lgbt materia di esclusiva competenza nazionale, per le quali varrebbe dunque il principio di non-intervento, e questo nonostante la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo affermi l’esatto contrario.

L’organismo sovranazionale era stato istituito lo scorso giugno in un voto storico del Consiglio dei diritti umani di Ginevra, mentre in settembre il presidente del Consiglio per i diritti umani aveva annunciato che l’incarico di esperto indipendente sarebbe stato ricoperto dal tailandese Vitit Muntarbhorn, docente di diritto internazionale.

La risoluzione, che necessitava di una maggioranza semplice per essere approvata, è stata però cambiata in modo radicale grazie a un emendamento, proposto da una coalizione di Paesi latinoamericani (Argentina, Brasile, Cile, Colombia, Costa Rica, El Salvador, Messico e Uruguay) e sul quale hanno deciso di convergere tutti i gruppi occidentali, che ha permesso di eliminare il secondo paragrafo della risoluzione, l’unico davvero determinante. Il contro-emendamento è stato approvato con 84 voti a favore, 77 voti contrari e 17 astensioni, e il progetto di risoluzione modificato è stato a quel punto adottato con 94 voti a favore, 3 contro e 80 astensioni.

L’organismo presieduto da Vitit Muntarbhorn potrà quindi continuare il suo lavoro. «Si tratta di una grande novità, un grande passo avanti. in un momento in cui il mondo sembra andare da un’altra parte con l’elezione di Trump, l’Onu batte un colpo nella direzione giusta», afferma il senatore Sergio Lo Giudice, membro della commissione diritti umani del Senato.

Perché era importante che Muntarbhorn potesse continuare il suo lavoro?

«Questo ruolo si basa su un presupposto relativamente nuovo nel dibattito internazionale sui diritti umani, cioè il fatto che i diritti lgbt, fondati sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere delle persone, sono diritti umani, e sulla base di questo era stato conferito a Vitit Muntarbhorn un mandato di esperto indipendente in questo settore».

Da chi era composto il fronte che ha cercato di annullare la nomina?

«Il ruolo di protagonista è stato svolto soprattutto dal Botswana e da altri Paesi africani, che hanno provato ad annullare questa nomina condizionandola a successivi adempimenti con l’intento di bloccarla. Riassumendo, c’erano molti Paesi africani e molti Paesi del mondo arabo, e tra questi tutti quelli che hanno la pena di morte per l’omosessualità, ma anche Paesi come la Russia e altri che facevano parte dell’ex blocco sovietico. A questi vanno aggiunti Paesi come l’Egitto e la Jamaica».

I Paesi che hanno proposto questa risoluzione temevano forse che il lavoro di Muntarbhorn potesse interferire con le leggi nazionali?

«No, va da sé che l’Onu non ha la capacità di imporre modifiche normative nell’ordinamento degli stati. È chiaro che per Paesi come l’Egitto o la Russia, per non parlare dei Paesi della penisola araba o di tanti Paesi africani, che hanno delle sanzioni penali per l’omosessualità, una presa di posizione di questo genere avrebbe significato una delegittimazione delle loro politiche antigay. Già in passato le Nazioni Unite aveva avuto grande difficoltà anche solo a fare passare un documento che mirava alla depenalizzazione dell’omosessualità nel mondo perché conteneva delle affermazioni che avevano messo in allarme non solo i Paesi che consideravano reato penale l’omosessualità, ma ache altre realtà che temevano che la loro posizione di rifiuto delle persone omosessuali venisse messa in discussione. Qui purtroppo va citato il ruolo svolto in quell’occasione dal Vaticano, che come osservatore all’Onu riuscì a costituire un “cartello” con il quale, proprio sulla base di questa paura che venisse messa in discussione una posizione critica nei confronti dei diritti delle persone lgbt, provò a bloccare quella operazione. L’Onu non ha la possibilità di incidere negli ordinamenti statali, ma è evidente che un’azione positiva delle Nazioni Unite in questi termini metterebbe in difficoltà quei Paesi che vanno in direzione opposta».

Come si è espressa l’Italia in quest’occasione?

«L’Italia ha ormai una posizione del tutto consolidata e positiva: il nostro Paese, sia in sede di Assemblea generale, sia in gruppi di lavoro più ristretti, si sta muovendo in questo periodo con un ruolo attivo e propositivo, a partire anche dal fatto di avere finalmente sanato, almeno in parte, la sua posizione di fanalino di coda fra i Paesi del mondo occidentale. L’approvazione della legge sulle unioni civili non è una risposta completa alla richiesta di estendere il matrimonio ugualitario alle coppie dello stesso sesso, che non proveniva solamente dalla comunità lgbt del nostro Paese ma anche in sede Onu da tanti altri Stati che avevano posto questa questione all’Italia relativamente ai diritti umani, ma oggi sicuramente l’Italia può porsi a livello internazionale come un Paese che ha ancora della strada da fare ma che può dare un contributo attivo nella difesa del diritto delle persone lgbt nel mondo di vedere riconosciuta la propria incolumità personale».

Immagine: via flickr.com, di HAI YANG