blasfemia

Se tutto è blasfemia

Secondo un recente rapporto di Amnesty International, in Pakistan le leggi che mirano a punire la blasfemia sono spesso usate contro le minoranze religiose o in modo strumentale da gruppi e singoli nei confronti di altri cittadini. Una situazione drammatica che crea circoli viziosi multipli dai quali spesso è difficile uscire se non con la morte. L’unione tra politica e religione in diversi stati dell’area, a partire degli anni ‘70 e ‘80, peggiora il clima di insicurezza per chi chiede libertà e laicità: «in Pakistan, quelle sulla blasfemia sono leggi approvate durante il regime di Muhammad Zia-ul-Haq, entrate in vigore nel 1986 – dice Francesco Muratore, coordinatore area Pakistan di Amnesty International Italia –. In molti paesi a maggioranza islamica, tra cui il Pakistan, c’è una recrudescenza dell’unione tra religione e politica che dagli anni ’70 in poi è progressivamente diventata più presente nella vita delle persone».

Eppure le leggi internazionali imporrebbero a tutti gli Stati di garantire parità di diritti a tutte le religioni.

«Esatto, infatti secondo Amnesty queste leggi violano i diritti umani e gli standard internazionali. Lo fanno perché sono molto vaghe e possono essere applicate senza che ci sia una chiara percezione di ciò che vogliono dire. La blasfemia è l’insulto al sentimento religioso, che può comprendere tutta una serie di casi, non solo l’insulto alla religione islamica, a Maometto o al Corano. Sono leggi utilizzate spesso contro le minoranze religiose come sciiti, cristiani, ahmadi, hindu e altri ancora, ma vengono condannati anche i musulmani sunniti. Spesso sono accusate con ragioni strumentali: una persona che si vuole vendicare di qualcun altro, per esempio, lo accusa e denuncia di blasfemia. Non essendoci prove certe, sulle quali la polizia non indaga più di tanto, in molti casi queste leggi sono applicate in modo sconsiderato. Per esempio, se c’è un fuoco acceso in una certa circostanza, si può accusare di star bruciando il Corano. Si parla di blasfemia, dunque, senza che ci sia una ragione chiara e precisa».

Leggi come queste alimentano un clima culturale ben preciso: in questo contesto possono emergere sistemi di violenza extragiudiziale?

«Si, è così, anche perché si limitano la libertà e i diritti della persona accusata: se si viene accusati di blasfemia si entra in un girone infernale, in cui le accuse non vengono provate, spesso il processo non è giusto e gli avvocati si rifiutano di difendere gli accusati, perché a loro volta possono divenire vittima di gruppi violenti. Queste leggi rafforzano i gruppi di vigilantes intenzionati a minacciare e uccidere le persone accusate facendo diventare il clima culturale, sociale e politico sempre più aspro e violento. Chi sta in carcere per blasfemia, spesso per molto tempo, quando viene liberato rischia di essere vittima dei gruppi violenti che hanno fatto propaganda contro di lui. Dopo essere stati accusati di blasfemia, insomma, la vita di un individuo è interamente a rischio. Questo vale per tutte le persone che hanno una relazione con l’accusa: gli avvocati come già detto, i giornalisti che ne parlano, o chi sostiene la necessità di abolire queste leggi. Due esempi importanti: il ministro delle minoranze Shahbaz Bhatti, che era cristiano, fu ucciso perché aveva condannato queste leggi, così come il governatore del Punjab, Salmaan Taseer. Una situazione di violenza che mette a rischio molte persone che lo Stato non è in grado di difendere».

Quali sono gli strumenti che Amnesty può mettere in campo?

«L’informazione, come per esempio con questo rapporto che spiega in modo dettagliato ciò che c’è da sapere su queste leggi. Poi la richiesta diretta allo Stato di abolirle, oppure alla Commissione dei diritti umani delle Nazioni unite. Queste norme sono usate per colpire persone vulnerabili, spesso bambini, disabili, poveri e così via. C’è il caso di una bambina cristiana con difficoltà di apprendimento accusata di aver bruciato il Corano, per esempio, così come di una coppia cristiana uccisa per la stessa accusa, o un avvocato che aveva avuto il coraggio di difendere una persona accusata di blasfemia, ucciso nel suo studio, dopo essere stato minacciato durante l’udienza. L’impunità di chi commettere reati contro gli accusati di blasfemia è molto presente».

Immagine: via Amnesty International