
Libertà, a lungo ti cercammo
03 marzo 2017
Si è chiusa ieri a Roma la mostra che l’Università di Tor Vergata ha dedicato a Dietrich Bonhoeffer. Un’iniziativa di ventenni non protestanti, che sul sentiero dei loro studi hanno incontrato il teologo luterano
Ha ventotto anni Emanuela Tangari, la dottoranda dell’Università Tor Vergata di Roma che insieme a una decina di studenti del corso di laurea in Filosofia ha voluto, ideato e curato un’insolita mostra dedicata al teologo luterano Dietrich Bonhoeffer. Venti pannelli in tutto: rossi per il quadro storico, arancioni per il pensiero teologico, blu per quello filosofico e rosa per la biografia. Nulla di più. In primo piano, sempre e comunque, l’autore. O forse l’opera. O meglio ancora il pensiero. Insomma, Bonhoeffer. Il teologo della libertà e della responsabilità. Della resistenza e dell’amicizia. Parole che ricorrono nel titolo dell’iniziativa: «Libertà, a lungo ti cercammo. Dietrich Bonhoeffer, resistenza e amicizia». Inaugurata il 20 febbraio, la mostra doveva chiudere la settimana scorsa, ma il successo di pubblico l’ha tenuta aperta fino a ieri. Ne parliamo con la curatrice, che in questi giorni ha accompagnato decine di studenti e visitatori nell’esperienza a lei accaduta anni fa: il primo incontro con un uomo che non si dimentica.
Come vi è venuta in mente, oggi, adesso, qui a Roma, una mostra su un pastore luterano?
«Qualche anno fa con un gruppo di studenti di filosofia dell’Università di Tor Vergata portammo qui una mostra su Pavel Florenskij, scienziato e filosofo russo morto martire in un gulag sovietico. Fu un’esperienza d’incontro e di studio molto significativa. A seguito di quest’evento, devo dire molto riuscito, avevamo il desiderio di rivivere un’esperienza simile, di offrire qualcosa a tutti proprio nel luogo dove ci troviamo ogni giorno; l’occasione si è presentata dopo un corso del professor Giovanni Salmeri, grazie al quale alcuni di noi hanno conosciuto la figura di Bonhoeffer, in particolare l’opera Resistenza e resa. Sono incontri che non si dimenticano, dai quali è naturale che nasca qualcosa d’altro».
Una mostra molto difficile. Su un personaggio in Italia poco conosciuto e molto complesso.
«Abbiamo imparato che costruire una mostra è qualcosa di veramente arduo, non si può sintetizzare in venti pannelli l’opera di un pensatore del genere. Probabilmente ricostruire Bonhoeffer è impossibile. Il nostro obiettivo era introdurlo, lasciare ai visitatori il desiderio di cominciare a conoscerlo, a leggerlo. Motivo per cui abbiamo ridotto al minimo le nostre considerazioni e abbiamo fatto parlare l’autore. Un autore in cui idee ed esperienza sono sempre profondamente unite, declinate nella sua vicenda biografica e narrativa. Chi è venuto qui non ha appreso solamente che un pastore della chiesa confessante tedesca ricavò dalla propria fede la lucidità e la forza per opporsi al nazismo. Credo e spero che chi i nostri visitatori abbiano lasciato la mostra con il desiderio di cominciare a leggere questo pensatore».
Chi era secondo voi Bonhoeffer? Che idea vi siete fatti?
«Domanda difficile. Forse la cosa più vera che posso dire è che è stato un vero uomo. Un vero intellettuale e un vero uomo. Un uomo che dentro il periodo storico in cui ha vissuto ha avuto a cuore la cultura vera, vale a dire l’incontro, la possibilità di dialogo con le persone e con la realtà. Che non ha tradito ciò in cui credeva: la coincidenza tra pensiero e azione, tra libertà e responsabilità. Che non ha tradito la sua possibilità di incidere nella realtà. Oggi si tende a vedere come contrapposti la dimensione del quotidiano e la dimensione del trascendente. Bonhoeffer rende evidente che questa visione è limitante: la sua fede si scopre e si colloca sempre “aldiqua”, nella vita e nel mondo».
Di fronte a una figura di simili proporzioni, c’è il rischio di una “deificazione” del proprio oggetto di studio? È facile credere che proprio Bonhoeffer si sarebbe ribellato a questo.
«Il rischio c’è, ma — scherzando un po’ — direi che non è poi così cattivo! Deificare Bonhoeffer presuppone averlo conosciuto, studiato, apprezzato e amato, e questo sarebbe un bel passo avanti! Certo, la passione rischia sempre di idealizzare, tanto più quando si ha a che fare con figure così suggestive. Ma la lettura di Bonhoeffer è una lettura radicale: ti richiama continuamente all’onestà, senza mezze misure, alla necessità di andare a fondo. Allora questo rischio non è poi così preoccupante».
Visto il successo riscosso nella capitale, già si parla di una vostra esposizione nelle Valli valdesi, probabilmente quest’estate. Siete disponibili?
«Più che disponibili. Siamo curiosi e contenti di poter incontrare chi di Bonhoeffer si occupa da ben prima di noi».