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Giro di vite sulle moschee in Germania

All’alba di martedì 28 febbraio la polizia di Berlino fa irruzione nei locali di «Fussilet 33», l’importante centro culturale islamico nel quartiere centrale di Moabit che ospita la moschea frequentata dall’«attentatore del mercatino di Natale», il ventiquattrenne tunisino Anis Amri, ripreso dalle telecamere qualche ora prima dell’attentato.

Messi i sigilli, fioccano le polemiche: si sarebbe potuto impedire che il 19 dicembre morissero 12 persone e ne rimanessero ferite 50, se il centro, sotto osservazione fin dal 2015, fosse stato chiuso prima? Nel corso del 2016 i suoi principali responsabili, di origini turche, erano stati infatti incarcerati per il loro presunto impegno jihadista, mentre l’imam, di origini russe, era stato condannato a due anni e mezzo per apologia del terrorismo e sostegno allo Stato islamico. L’ipotesi era che nella moschea si raccogliessero fondi per finanziare gli attacchi terroristici in Siria e Iraq.

Nelle prime ore del giorno «Fussilet 33» e altri 23 altri luoghi (quindici appartamenti, due aziende e sei celle in due prigioni) a Berlino, nel vicino Brandeburgo e ad Amburgo, sono stati oggetto di perquisizioni e sequestri, con il dispiegamento di 450 agenti, ma non risulta nessun arresto.

Si tratta dell’ultimo episodio di un processo che negli ultimi mesi ha messo sotto il controllo dei servizi segreti circa 90 dei 2600 luoghi di preghiera musulmani presenti in Germania. In particolare quelli riconducibili alla corrente salafita, di cui il «Fussilet 33» era uno dei centri principali, che ha visto negli ultimi tre anni un aumento molto forte: dal centinaio di persone del 2013 alle circa 1600 attuali, di cui 570 considerate pericolose. Un aumento facilitato dalla comunicazione e dal reclutamento attraverso Internet, cui però si accompagna una crescente presa di coscienza della popolazione, che sempre più spesso segnala i casi sospetti.

E c’è anche chi chiede una chiusura sistematica delle moschee giudicate pericolose, snellendo procedure considerate troppo rigide, e al tempo stesso pone la questione della formazione degli imam, che attualmente provengono quasi tutti dall’estero, soprattutto dalla Turchia. Un percorso è già cominciato nel 2010, con l’apertura di Facoltà di Teologia islamiche, il cui numero è però ancora insufficiente.

Commentando l’operazione, il ministro dell’Interno del Land di Berlino, Andreas Geisel, incaricato delle questioni di sicurezza, ha detto: «Berlino è una città cosmopolita e tollerante, che accoglie le persone perseguitate nei loro paesi e in pericolo, e così deve restare. Coloro che vengono qui per compiere atti violenti o predicare la violenza, o che da qui sostengono organizzazioni terroriste e raccolgono soldi per esse, reclutano e addestrano combattenti, non sono benvenuti».

Immagine: via Flickr – Metropolico.org