La notizia è della scorsa settimana e ne avevamo dato spazio anche su Riforma.it : il Consiglio di Stato, ribaltando una sentenza del Tar dell’Emilia Romagna, ha dichiarato legittima la benedizione pasquale di una scuola da parte di un sacerdote cattolico, impartita al di fuori dell’orario scolastico. Si tratta di un dossier ben noto, che include, oltre alle funzioni, le preghiere negli spazi scolastici, l’esposizione dei crocifissi e questioni analoghe. Da sempre le nostre chiese sostengono le posizioni che il Consiglio di stato ha respinto, cioè la laicità degli spazi pubblici e lo fanno anche in sede giudiziaria. Come pastore e uomo della chiesa, vorrei sollevare qualche interrogativo su quest’ultimo punto. Prima, però, di farlo, credo sia giusto ribadire, anche dal punto di vista ecclesiale e pastorale, un giudizio critico sulla volontà della chiesa cattolica (ma, all’estero, anche di diverse chiese evangeliche nostre sorelle) di difendere con le unghie e con i denti questo tipo presenza nello spazio pubblico.

In questo caso, il Consiglio di Stato ha dato ragione al «partito cattolico», ritenendo la benedizione, al di fuori dell’orario di lezione, analoga ad altre «attività parascolastiche»; in altri paesi, il crocifisso nei luoghi pubblici è stato mantenuto, in quanto considerato un simbolo della tradizione europea. Mi chiedo: davvero si pensa di svolgere il compito della chiesa, cioè la predicazione dell’evangelo, in questo modo e con questi argomenti? Non si rischia di confondere l’annuncio con una «difesa del territorio» che, dal punto di vista della testimonianza, appare almeno dubbia? E non c’è il pericolo di associare, almeno di fatto, gli intenti della chiesa a quelli di gruppi che strumentalizzano il cristianesimo per i loro obiettivi tribalistici e xenofobi? Infine: la storia dimostra che, nel contesto europeo, simili «vittorie» permettono forse di piantare qualche bandierina clericale nell’immediato, ma nel lungo periodo le cose vanno diversamente. Non sarebbe più opportuno gestire tutta la tematica in modo diverso e prevenire ondate critiche non solo nei confronti del clericalismo, ma del cristianesimo stesso?

Spero non sia il caso di precisare che tutto ciò non ha nulla a che vedere con il «vergognarsi dell’evangelo». È vero l’esatto contrario: proprio la testimonianza del nome di Gesù esige un tipo di presenza nella società diverso dall’occupazione di piccoli o meno piccoli spazi di potere o di privilegio.

Detto questo, l’idea di unirmi a quanti decidono di adire le vie legali contro chi vuol benedire nel nome di Gesù o del Dio trinitario non mi piace per nulla. Ho cercato di spiegare che cosa penso del merito della questione. Credo però che le chiese evangeliche debbano discutere questo tema con l’interlocutore cattolico anzitutto sul piano del dialogo ecumenico. So bene che, quando si tratta di potere, le cortesie ecumeniche vengono abbandonate e si punta a quello che si ritiene «il sodo», sia che regni Ratzinger, sia che regni Francesco. Proprio perché, tuttavia, il «sodo» è in realtà l’evangelo e il modo di renderlo presente nella società (c’è anche altro, ma per una chiesa viene dopo), non credo che la sede per discuterne sia un’aula di giustizia. Diciamo invece che sarebbe un’occasione per mettere alla prova la concretezza del «nuovo clima» ecumenico del quale tutti parliamo.

Immagine: By I, Clio, CC BY 2.5, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=2318164

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